di
Federico Fubini

Per l’imprenditore russo in esilio a Londra il capo del Cremlino ha usato la guerra per coprire i suoi fallimenti

Mikhail Khodorkovsky, un tempo l’uomo più ricco della Russia, ha passato dieci anni in detenzione in Siberia per aver contestato Vladimir Putin. Oggi vive a Londra ed è uno degli oppositori più temuti dal Cremlino. 

Lei pensa che Putin punti a un accordo sull’Ucraina? 
«Credo abbia delle buone ragioni per negoziare sul serio. In Russia i problemi economici e di reclutamento si stanno accumulando. In più i territori occupati in Ucraina si stanno rivelando un altro problema e un costo enorme, in prospettiva». 



















































Quanto serve per ricostruirli? 
«Almeno duecento o trecento miliardi di dollari. Se si aggiungono altri territori, di più. Poi c’è la questione delle popolazioni: nell’Ucraina occupata sono rimasti 3,5 milioni di persone e altri 2,5 milioni si sono spostati in Russia. Molti di loro sono anziani o disabili, gente che non lavora e ha bisogno di assistenza. Sono sei milioni di abitanti disabituati da un quarto di secolo a vivere sotto un regime autoritario». 

Potrebbero esserci atti di resistenza? 
«Non credo possa formarsi una lotta partigiana clandestina. Ma quella è gente abituata a lottare per i propri diritti economici. È un’area mineraria paragonabile in Russia a Kemerovo, che però è a oltre tremila chilometri da Mosca. Il Donbass invece è ad ottocento chilometri e le strade sono buone. Negli anni ’90 i minatori russi marciavano sulla capitale e protestavano, sbattendo i loro caschi contro le inferriate della Casa Bianca (la sede del governo dopo il 1993, ndr). Ormai i russi hanno perso l’abitudine a queste cose, ma gli ucraini no. Putin si è messo in casa un problema cinque volte più grande della Cecenia». 

Quanto conta il rapporto di Putin con Donald Trump? 
«Putin capisce che Trump è il miglior presidente americano che possa capitargli, non gli andrà mai meglio di così. Questo è il momento in cui può tenersi tutto quel che ha conquistato e recuperare un riconoscimento internazionale quasi totale. Prima di Trump era impossibile e anche dopo lo sarà». 

La tolleranza di Trump non rischia di rendere Putin anche più aggressivo? 
«A Trump piace Putin perché è un uomo forte, vorrebbe essere come lui se potesse. Ma Putin è anche un uomo attento, cauto. Teme di calpestare per sbaglio qualche linea rossa del leader americano. Alla squadra di Trump sto spiegando che non si può parlare a Putin con lo spirito dei buoni poliziotti. Putin ha una mente criminale, bisogna mostrargli che si è più forti di lui. Invece in Russia si sta diffondendo l’idea che l’America non abbia più armi o che le voglia preservare per un’eventuale guerra con la Cina. Se Trump e i suoi danno a Putin l’impressione che non sono in grado di combattere contro la Russia, le conseguenze rischiano di essere serie. Ma per ora Putin resta guardingo». 

La popolazione russa continua ad accettare la guerra? 
«Il 15-20% della popolazione è contro la guerra; il 50% è freddo, ma teme un’eventuale sconfitta della Russia. Solo il 30% della popolazione è davvero a favore. Per lo più sono gli anziani, che non devono combattere. Questi sono elettori di Putin e, benché lui sia un dittatore, li cura molto. Ma la guerra sta diventando visibile nelle strade grazie ad alcuni contrattacchi ucraini ad alto impatto. Di fatto gli aeroporti nella parte europea della Russia sono chiusi e gli attacchi dei droni sulle raffinerie fanno scarseggiare la benzina. In più, nell’ultimo paio di mesi il numero dei volontari per andare a combattere è crollato». 

L’esercito come rimedia? 
«Con coscritti che di fatto vengono forzati a firmare per il fronte, fingendo che sia una loro scelta. È un inganno che può portare conseguenze gravi per il governo. In sostanza Putin può continuare la guerra per un po’, ma la situazione per lui è sempre meno facile». 

Lei presenta un quadro secondo il quale Putin non ha concluso molto in tre anni e mezzo di morti e distruzioni. L’élite russa è sempre con lui? 
«Putin in generale ha perso la guerra, anche se lui non sarebbe d’accordo. Non sembra che l’abbia persa. Ha perso la guerra per la Russia, non per sé: per sé ha guadagnato altri cinque o sei anni al potere. Ha usato la guerra per mascherare i suoi fallimenti sociali, economici. Non ha cambiato il governo di Kiev, ha in mano solo dei territori distrutti. Alla fine, questo diventerà evidente anche per le élite russe».

24 agosto 2025