Israele sta ottenendo grandi risultati dal punto di vista militare, ma per almeno un decennio ha sottovalutato il ruolo di Hamas per i gazawi. Quello che è successo dentro Gaza fino all’ottobre 2023 è il paradigma della simbiosi tra un popolo e chi lo governa. Non c’era un cittadino che non avesse collusioni con i terroristi: nessuno, perché è impensabile non vedere e non partecipare se qualcuno sta costruendo qualcosa in casa tua, per esempio nella camera dei bambini.
L’intima connessione tra Hamas e i gazawi è stata platealmente dimostrata in almeno due occasioni. Innanzitutto quando, dopo i massacri e le nefandezze compiute dai circa 5mila terroristi entrati in Israele, quasi 100mila persone li hanno seguiti per razziare quello che era rimasto e finire il lavoro; un altro caso è stata la grande partecipazione popolare nelle disgustose cerimonie di riconsegna degli ostaggi, molti dei quali morti di fame e torture e, quindi, restituiti nelle bare. Insomma, i Paesi occidentali vogliono far credere che non hanno visto due “piaghe egiziane” abbattersi su Israele: la grandine e le cavallette. Lo Stato ebraico (come previsto da Hamas) ha reagito e, ciò nonostante, il mondo occidentale lo sta isolando per i “massacri” e un presunto “genocidio” in corso a Gaza. E l’Italia, ancora una volta, si distingue per “fantasia”.
Israele si trova impantanata e deve trovare una via d’uscita, magari rovesciando il tavolo. La prima mossa dovrebbe essere una vera e propria provocazione, per dimostrare l’impossibilità di attuare i “due popoli e due Stati”; per far questo dovrebbe dichiarare che a settembre si unirà ai “volenterosi”, riconoscendo uno Stato palestinese (per Israele limitato a Gaza), ponendo la sola condizione di reciprocità e di una garanzia internazionale sull’intangibilità di Israele. E dovrebbe assicurare che non porrà nessuna condizione sul governo della Striscia, se non quello che sia regolarmente nominato in un’elezione democratica, garantita dall’Onu – o, meglio, dalle grandi potenze, insieme all’Arabia Saudita – ovviamente senza Hamas. Israele così spiazzerebbe i suoi detrattori. Eppure tutto questo non basterebbe all’organizzazione terroristica, che – proprio come fa puntualmente con i negoziati – boicotterebbe ogni proposta che minaccia il suo dominio della Striscia.
Seconda mossa: stilare un elenco di prodotti farmaceutici che l’Occidente (a cominciare dai paesucoli dell’alta Toscana) sta mettendo al bando, evidenziando a cosa servono. Dovrebbe chiarire, inoltre, che la “molecola” fondamentale caratterizzante il singolo farmaco è sotto brevetto e perciò non possono essere utilizzati prodotti sostitutivi. Terza mossa: rendere pubblici i contratti stipulati con la Puglia nel settore idrico e idrogeologico, che Israele dovrebbe ritirare, a prescindere dalle decisioni della Regione, recapitando la motivazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Rendere noti i Paesi per i quali sta risolvendo gli stessi problemi e minacciando, a sua volta, di ritirare i propri brevetti dagli Stati che si allineeranno all’Italia.
Insomma, il riconoscimento (condizionato) dello Stato di Palestina a Gaza assesterebbe un colpo tanto forte quanto inatteso alle velleità di Hamas, dimostrando che, al limite, in futuro si potrà parlare di “tre Stati”. Il tutto dovrebbe avvenire in permanenza dello stato d’assedio a Gaza City, senza ridurre la pressione militare fino alla risposta. Il piano dovrebbe essere comunicato, tramite le ambasciate, a tutti i Paesi che intendono riconoscere lo Stato di Palestina a settembre.
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