L’Alaska era apparsa lo snodo per avvicinare Mosca e Kiev ma dopo dieci giorni le lingue che parlano Russia e Ucraina sembrano ancora seguire vocabolari diversi. Volodymyr Zelensky promette nel giorno dell’indipendenza del Paese (avvenuta 34 anni fa, ai tempi dell’Urss) che gli ucraini riprenderanno i territori occupati: Crimea, Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia. “Lì ci sono i nostri cittadini, e nessuna distanza tra noi può cambiare questo, e nessuna occupazione temporanea può cambiarlo. Un giorno la distanza tra gli ucraini scomparirà, e saremo di nuovo insieme come un’unica famiglia, come un unico Paese. È solo questione di tempo”. Ad oggi appare una promessa scritta nell’acqua, a dir poco. Ma se negoziato sarà, se un bilaterale davvero a un certo punto si organizzerà, secondo il Cremlino dovrà ripartire da Istanbul, dove si sono interrotti i negoziati tre anni fa. A parlare, di nuovo, è il ministro degli Esteri Serghei Lavrov che dà giorni usa l’estintore a ripetizione per chiarire che un accordo in tempi brevi non ci può essere. I Paesi occidentali “stanno tentando di bloccare i colloqui di pace” e Mosca si augura che questi tentativi “siano sventati”. Un bilaterale, come ha detto il presidente Usa Donald Trump? “Gli incontri al massimo livello, i vertici, soprattutto tra i leader di Russia e Ucraina, devono essere preparati molto bene”. “Abbiamo suggerito di elevare il livello delle delegazioni che si sono incontrate e si incontreranno a Istanbul per affrontare questioni specifiche che devono essere portate all’attenzione del presidente Putin e Zelensky”. Adelante ma con molto juicio, insomma (e intanto si combatte). L’insistenza di Zelensky sul bilaterale con Putin, è l’ultima frecciata di Lavrov, “è solo un gioco del presidente ucraino, vuole teatralità“.
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In mezzo ci sarebbe proprio Trump che era uscito ottimista dal faccia a faccia di Anchorage, che poi si è tirato fuori da un eventuale trilaterale con lui a fare da arbitro e pochi giorni fa è tornato ad avvertire Mosca. Oggi il presidente americano – per celebrare il “compleanno” ucraino – ribadisce il suo primo obiettivo: “E’ venuto il momento di porre fine a una carneficina senza senso – dichiara – Gli Stati Uniti sostengono un accordo negoziale che porti a una pace duratura, che fermi lo spargimento di sangue e salvaguardi la sovranità e la dignità dell’Ucraina”. Insiste Zelensky: “Un’Ucraina unita non sarà mai più costretta nella storia a quella vergogna che i russi chiamano compromesso: abbiamo bisogno di una pace giusta. Quale sarà il nostro futuro, solo noi possiamo deciderlo. E il mondo lo sa. E il mondo lo rispetta. Rispetta l’Ucraina”. Parole forse dettate dalla retorica patriottica della giornata, ma la strada per portare le parti a un tavolo sembra ancora abbastanza lunga. Sullo sfondo si vede il lumino dell’Ue: “L’Ucraina è una democrazia vivace sotto attacco e la Russia deve porre fine alle uccisioni e dimostrare una reale volontà di pace”, ha sottolineato l’alto rappresentante Ue Kaja Kallas dopo il vertice con i ministri degli Esteri del G7.
Le parole ma anche i fatti. Se gli Usa – dice il Wall Street Journal – hanno bloccato per mesi l’uso di missili a lungo raggio da parte dell’Ucraina per colpire in profondità la Russia (uno stop che ha impedito a Kiev di lanciare Atacms contro obiettivi russi), Zelensky rivendica che gli ucraini utilizzano “le proprie armi” per questo tipo di operazioni e non si consulta con Washington. Insomma, non fila tutto liscio nemmeno nei rapporti tra Washington e Kiev.
Eppure il vicepresidente Usa JD Vance, in un’intervista tv, dice che Putin, in Alaska, “ha fatto concessioni importanti a Trump per la prima volta in tre anni e mezzo” e la Russia è “molto flessibile su alcune delle sue esigenze fondamentali”. In particolare, afferma, la “concessione” di Mosca riguarda “il riconoscimento che l’Ucraina avrà integrità territoriale dopo la guerra”. E ribadisce la contrarietà della Casa Bianca all’invio di soldati per garantire la pace.
Restano poi infatti i negoziati sulle benedette garanzie di sicurezza proseguono e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ribadendo il “pieno sostegno” dell’Italia a Kiev, ha precisato che “si stanno facendo dei passi in avanti sulla proposta italiana di dare garanzie sul modello dell’articolo 5 della Nato, con la presenza americana”. “Noi – ha ricordato – non siamo per inviare truppe ma potremmo dare un contributo importante, vista la grande esperienza che abbiamo, per lo sminamento sia marittimo che terrestre, si vedrà come andranno le cose”. Zelensky – anche su questo – ha fatto sentire il suo controcanto: la questione delle “truppe sul campo, dei boots on the ground, è importante per noi”. L’Italia non è l’unica ad avere difficoltà sul punto, altri Paesi come la Germania si trovano nella stessa situazione.
Esplosione a Mosca, scambio di prigionieri tra i due eserciti – Sul campo, l’esercito ucraino ha annunciato di aver riconquistato tre villaggi della regione di Donetsk in mano russa (Mykhailivka, Zelenyi Gai e Volodymyrivka). A Mosca invece l’allarme è arrivato da un’esplosione in un grande magazzino per bambini, che ha causato un morto e tre feriti: secondo i servizi di emergenza, a scoppiare è stata una bombola di gas usata per gonfiare palloncini. Il centro commerciale esploso è vicino al palazzo della Lubyanka, già sede del Kgb e ora dei servizi d’intelligence Fsb.
Sempre domenica, il ministero della Difesa russo ha annunciato di aver completato uno scambio di prigionieri: “146 militari russi sono stati rimpatriati dal territorio controllato da Kiev e, in cambio, sono stati restituiti 146 prigionieri di guerra ucraini”, viene comunicato, specificando che “gli Emirati Arabi Uniti hanno fornito mediazione umanitaria durante il ritorno dei militari russi dalla prigionia”. Inoltre, “otto residenti della regione di Kursk (il territorio russo di confine occupato per un periodo dall’Ucraina, ndr) detenuti illegalmente dal regime di Kiev sono stati rimpatriati e saranno riportati a casa”, si legge.