Si chiama l’oleodotto dell’Amicizia (Druzhba), ma per uno strano caso del destino rischia di essere proprio l’infrastruttura che allarga il solco tra Ungheria (e Slovacchia) e il resto dell’Unione europea. La posizione filo-Putin di Budapest si è ormai consolidata da tempo, ma gli attacchi dell’Ucraina alla pipeline che rifornisce di greggio russo i paesi governati da Orbán e Fico hanno fatto scaturire una vera e propria crisi diplomatica.

Scrive il Corriere della Sera:

Una lettera congiunta alla Commissione europea per evitare che l’Ucraina attacchi ancora l’oleodotto dell’Amicizia (Druzhba). L’hanno inviata venerdì Péter Szijjártó e Juraj Blanár, ministri degli Esteri di Ungheria e Slovacchia, dopo l’attacco — “il terzo in poco tempo” — con droni kamikaze delle forze armate ucraine alla stazione di pompaggio nella città russa di Unecha, nella regione di Bryansk. A farne le spese, indirettamente, infatti, sono stati i due Paesi, gli unici membri Ue che ancora ricevono petrolio russo.

Gli attacchi, avvenuti in territorio russo, per Kiev sono mirati a un’infrastruttura chiave nei rifornimenti al complesso militare-industriale della Russia. Ma hanno avuto come conseguenza un’interruzione del flusso di petrolio verso i due paesi confinanti, che ne sono ancora ampiamente dipendenti. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó ha scritto su Facebook che si tratta “dell’ennesimo tentativo di trascinarci in guerra”.

Il quotidiano di via Solferino osserva che “il gestore dell’oleodotto slovacco Transpetrol ha dichiarato che il flusso di petrolio è stato interrotto al di fuori del territorio slovacco. A inizio settimana, Szijjártó si era scontrato pubblicamente su questo tema con il suo omologo ucraino Andrii Sybiha, che gli ha risposto di “inviare lamentele — e minacce — ai vostri amici a Mosca”. Venerdì Viktor Orbán si è lamentato del bombardamento con Donald Trump che gli avrebbe espresso la sua solidarietà”.