A BORDO DI MEDITERRANEA – “Abbiamo fatto semplicemente la cosa giusta. Se ci saranno conseguenze, le affronteremo e faremo di tutto perché questa nave torni a fare soccorsi, resi necessari dalle omissioni istituzionali”. Capomissione della nave Mediterranea alla sua prima uscita in mare e cofondatore dell’omonima ong, Beppe Caccia, insieme al comandante Paval Botica, ieri ha deciso di ignorare l’ordine del Viminale di fare rotta verso Genova e puntare su Trapani, dove la nave ha attraccato in serata. Parla dal ponte della nave attraccata in porto, mentre arriva la notizia dell’ultima tragedia del mare: ieri sera il veliero ong Nadir ha recuperato i corpi di tre bambini, morti a poche miglia da Lampedusa. “L’ennesima strage evitabile”, commenta Caccia.

Che bilancio fa di questa prima missione?

“Noi siamo soddisfatti. Parlano i fatti: ieri sera dieci ragazzi fra i 14 e poco più di vent’anni, che arrivano da Paesi in cui conflitti, repressione politica, persecuzione di minoranze sono all’ordine del giorno e sono sopravvissuti alla Libia e alla traversata, hanno finalmente toccato terra, dove potranno ricevere cure e assistenza di cui hanno bisogno. E per noi, cura, diritti e dignità vengono prima di tutto”.

È per questo che avete disobbedito agli ordini del Viminale?

“Da tre anni, il ministero dell’Interno impone una prassi crudele, che non è legittimata da alcuna legge nazionale o internazionale. Obbligare a navigare per giorni persone salvate da morte certa in mare – e davvero nella notte fra mercoledì e giovedì quei ragazzi hanno rischiato di morire – significa solo prolungarne le sofferenze. È una cosa profondamente inumana e del tutto ingiustificabile. Noi non ci stiamo”.

Cos’è successo quella notte?

“Vengo da sei anni di soccorso in mare, non mi è mai capitato di assistere ad una scena del genere. Era una notte senza luna, con vento forte di scirocco e onde alte un metro e mezzo. In pochi istanti, i nostri soccorritori si sono trovati con decine di persone che annaspavano in acqua, dopo essere state letteralmente scaraventate giù dai trafficanti”.

Era una delle cosiddette runaway boat.

“L’ennesimo frutto avvelenato del sistema Libia. E ricordiamolo, non è stato costruito a Tripoli, ma a Roma”,

Cosa vi aspettate adesso?

“Sinceramente non so. Al momento, sappiamo che siamo entrati in porto tranquillamente e che i naufraghi sono in salvo. Questo ci basta”.

Nel decidere di entrare a Trapani avete valutato il rischio di un fermo?

“Il comandante, io e tutta Mediterranea ci siamo assunti la responsabilità di fare la cosa giusta. Vorremmo essere liberi di tornare in mare al più presto. Se le autorità dovessero adottare qualche provvedimento contro di noi, accetteremo le conseguenze, ma ovviamente faremo di tutto per contrastarlo in tutte le sedi possibili”.

C’è qualcosa che non ha funzionato nella comunicazione con le autorità?

“Fin dalla notte del soccorso abbiamo informato chi di competenza sulle condizioni delle persone, con tanto di certificati medici. Anche il Cirm, l’ente a cui anche la Guardia costiera fa riferimento, ha messo nero su bianco la necessità di uno sbarco immediato. Dal Viminale, abbiamo trovato non un muro di gomma, ma di pietra, un atteggiamento vessatorio e lesivo della dignità delle persone, oltre che offensivo nei confronti della Guardia costiera”.

A cosa si riferisce?

“Il centro di coordinamento e soccorso di Roma è stato ridotto al rango di semplice passacarte degli ordini di Piantedosi. Che il ministro si sia arrogato il diritto di decidere cosa succeda in mare, quando in ballo ci sono la vita e la salute delle persone, è uno dei grandi passi indietro fatti negli ultimi anni dal nostro Paese. Ed è la stessa logica che sta dietro le stragi causate dai soccorsi mancati, a Cutro nel 2022 come a Lampedusa poco più di una settimana fa”.

Questa missione segna un prima e un dopo?

“Ci auguriamo che questa vicenda, incluso il prezzo che rischiamo di pagare, diventi elemento di riflessione per l’opinione pubblica. Se accettiamo che esseri umani vengano trattati come sacchi della spazzatura o “carichi residuali” da chi voleva spedirli a Genova come se fossero pacchi, non solo perdiamo la nostra dignità, ma accettiamo che i diritti di tutti vengano messi in discussione”.

Quindi è giusto disobbedire?

“Il punto non è se disobbediamo noi, ma che forse di fronte a un ordine ingiusto dovrebbero essere tanti a farlo”