Cominciamo dai fatti: Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati giuridicamente assolti dal delitto in cui perse la vita Meredith Kercher, a Perugia, la notte del primo novembre 2007. Conoscendo l’epilogo, la storia parrebbe priva di mordente: un uomo, Rudy Guede, condannato per il fatto. Le vite di due adolescenti conosciutisi otto giorni prima, sbandierate in piazza e inventate, elaborate, ricamate. Che altro c’è da dire su un delitto risolto?

Controintuitivamente, Hulu ci ha fatto una serie tv, portata in Italia da Disney+. Due le notevoli produttrici esecutive: Knox stessa, ora podcaster, autrice e attivista, e Monica Lewinsky, anche lei podcaster, anche lei autrice, e nuova produttrice di storie per dare voce a donne la cui storia è stata travisata e raccontata al posto loro (ve lo raccontavamo in questa intervista di Rolling Stone US). Take back the narrative, lo chiamano negli Stati Uniti, riprendersi la propria versione dei fatti. In questo senso, The Twisted Tale of Amanda Knox non lascia spazio a dubbi (otto episodi in totale, i primi due sono disponibili dal 20 agosto sulla piattaforma streaming, ne uscirà uno nuovo ogni mercoledì): la voce narrante in apertura del pilota è proprio la sua, quella di Amanda, interpretata da Grace Van Patten. Vuole riaprire tutto, a quasi vent’anni dall’accaduto, perché sente che le sue parole non sono ancora state accettate.

Continuiamo con altri fatti. Questa volta appartenenti alla storia del Novecento: sono contenuti in Quando le donne uccidono di Alia Trabucco Zerán, tradotto in italiano da Sur Edizioni. Quattro vicende true crime, per nulla romanzate, in cui le omicide storicamente e giuridicamente attestate (cioè, proprio senza ombra di dubbio) furono femminili. Vicende diverse, estrazioni sociali diverse, motivazioni diverse. Ognuna di loro ritratta come mostro, un’aberrazione della natura. Corina Rojas, Rosa Faúndez, María Carolina Geel, María Teresa Alfaro: furono de-donnizzate e deumanizzate. Fu detto che erano deboli di morale, isteriche, pazze, troppo mascoline; lesbiche (in senso spregiativo e ingiurioso), sospette, mostruose proprio nel senso dell’enormità, di qualcosa che non si conforma non solo alla legge costituita (commettendo omicidio), ma pure agli interstizi del sistema patriarcale. Una donna che ammazza, e non che è ammazzata, è contro natura, questo sobillano i processi giudiziari e mediatici attorno ai casi delle quattro cilene. È incomprensibile, per la morale maschilista, riconoscere un possibile pericolo nella controparte femminile. Allora, quando una donna ammazza, deve innanzitutto essere umiliata. Alla punizione si penserà poi dopo – e infatti, spoiler, i processi intentati contro le imputate saranno sempre più lievi dei toni scandalistici e allarmisti dei giornali che ne raccontano i procedimenti.

quando le donne uccidono

‘Quando le donne uccidono’ di Alia Tabucco Zerán, Sur Edizioni. Foto: press

Questo quello che succede ad Amanda Knox a partire dal due novembre del 2007: le viene detto in tutti i modi, e i media rimbalzeranno il messaggio, che non è normale. Che è foxy, scaltramente avvenente e sensuale, una mangiatrice di uomini. A farne le spese è un ragazzo di provincia di buona famiglia presentato senza molto curriculum, nelle questioni di vita: Sollecito. Lui le andò dietro durante dissennate orge finite al coltello, dice la ricostruzione propugnata dal Pubblico Ministero Giuliano Mignini, assegnato al caso. Knox subisce lo stesso trattamento di quelle donne cilene: è degradata a prescindere, che sia colpevole o meno (e si stabilirà che non lo è). Il processo diventa incestuoso: quanti messaggi dovremmo cancellare dai nostri cellulari per essere giudicati persone completamente “normali”? Quanto in là può compensare la prova di carattere veritiero o supposto, quando i fatti non reggono?

Queste alcune delle domande che pone The Twisted Tale of Amanda Knox, veicolandole attraverso un brivido kafkiano: e se toccasse e noi, domani? E se, d’improvviso, la realtà ci si deformasse davanti agli occhi?

Beninteso, altre sono le opere cinematografiche che ci hanno distrutto la colonna vertebrale a colpi di dubbio sistemico. The Twisted Tale of Amanda Knox assomiglia più a un documentario con punto di vista interno, o a una puntata di Indagini di Stefano Nazzi (che infatti proprio al delitto di Perugia dedicò una delle iterazioni più riuscite della sua serie podcast).

A dire il vero, il tutto è presentato sotto un certo afflato poetico e fiabesco, e di primo acchito, si è un po’ spiazzati. Allora fantastico (come direbbe la mia psicologa) e mi immagino che a Knox, o meglio ad Amanda, come per nome presero a chiamarla i media, familiarità perversa che ci vuole parenti forzati del killer, o dell’imputato, questa lente si confaccia proprio. D’altronde, le fiabe servono per tenere a bada il male, presentarlo sotto una luce avvicinabile. Da un lato è una protezione, questa twisted tale, una storia inghippata e ingarbugliata. Dall’altro, “una serie di sfortunati eventi”, dato che i fatti si inanellano in una spirale discendente, direttissima sulla highway to hell. Solo che, al posto degli orfani Baudelaire e del conte Olaf, la battaglia per l’anima dell’umanità, eterno bene contro eterno male, si trovano a combatterla un PM cattolico e un’americana atea. Naturalmente non poteva finire nel migliore dei modi.

the twisted tale of Amanda Knox

Foto: press

Potrebbe invece stupire sapere che, alla fine di tutto, Amanda Knox e Giuliano Mignini sono ancora in contatto. Una strana dimostrazione di valori cristiani, questa sì. Ma ci sarà modo di approfondire nel corso degli episodi della serie, che non deviano dalla sostanza storica del caso. È esattamente questo che Lewinsky voleva fare, esattamente questo che ottiene: scoprire il lato oscuro della luna. Ed è quello che Knox ha sempre cercato di fare, più o meno ingenuamente, dal 2007. Imparando sulla sua pelle che la verità, la propria verità non basta. Bisogna essere ben tetragoni ai colpi di ventura. Equipaggiati, consapevoli del contesto.

Anche perché, a distanza di questi anni, l’inghippo di Amanda Knox e Raffaele Sollecito ha l’apparenza di un gigantesco intralcio di comunicazione: tra di loro, tra le istituzioni, tra culture. E tra l’ingenuità strabordante di Knox e le regole di un mondo che dei naïf non sa proprio che farsene – i tratti caratteriali di Amanda sono ben presentati in questo articolo di Rolling Stone US del 2011, in cui i primi a definire Knox un weirdo fatto e finito, evidentemente con il tono affettuoso di chi sa e accetta, sono proprio i suoi famigliari.

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Foto: press

Alla fine, però, non siamo qui per questo. C’è una verità giuridica, c’è un racconto mediatico, e l’opinione che ognuno si (ri)farà di quella notte a Perugia, e delle aule di tribunale che seguirono, non è affar nostro. A noi interessano i fatti. All’inizio di quest’anno, la Cassazione ha confermato la condanna a tre anni di Knox nel processo per diffamazione contro Patrick Lumumba, suo datore di lavoro al momento dell’uccisione di Meredith Kercher, che Knox implicò, ritrattando più volte in seguito, come possibile autore del delitto durante un interrogatorio di polizia (ma ormai le uova, in quel proverbiale paniere, si erano infrante). C’è il tentativo a tratti disperato e incomprensibile di Knox di portare ogni singola persona sul pianeta a esperire la sua verità: più che a crederle in controfirma, anche solo un transfer emotivo. Farsi rizzare i peli sulle braccia stando a sentire ciò che ha dovuto sopportare.

C’è un filo di innegabile ricatto emotivo, in questo. Dall’altro lato, vive un desiderio legittimo e umano, interpretato da Knox secondo il modus sentiendi che ha dimostrato fin dal suo primo giorno sulle scene mediatiche internazionali: una testardaggine a tratti parossistica sui gangli della questione. Le questioni di principio che a un certo punto, per buonsenso o perché costretti sotto consiglio, si lasciano perdere. Questo non è molto da Amanda. Che infatti ripete, per tutti gli otto episodi: voglio essere vista. Voglio che mi vedano. Piena riabilitazione.

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Foto: press

Che da un altro punto di vista, eppure, ha pienamente avuto. Le lingue biforcute potrebbero sottolineare, ha addirittura prodotto una serie sulla sua stessa vita. Purtroppo la verità è che la grande assente, sia da The Twisted Tale of Amanda Knox che dalla gogna mediatica attorno a questo caso, è proprio la sua protagonista, Meredith Kercher. Esattamente come, nei numerosi, ignominiosi casi di femminicidio di cui quasi quotidianamente si legge sui mezzi di informazione, l’attenzione finisce sempre per ricadere morbosamente sul killer. Nei casi descritti da Trabucco Zerán, al danno si aggiunge la beffa: delle donne che ammazzano non si osservano solo le menti, ma soprattutto i costumi. Ragionamento lombrosiano applicato alla morale.

Perciò certo che fa piacere, sapere che due persone innocenti siano state scagionate da una gravissima colpa che era stata loro ascritta. Certo che fa piacere, che The Twisted Tale of Amanda Knox sia un prodotto a tutti gli effetti riuscito, impegnato nella riabilitazione dell’innocente e con del genuino mordente true crime. Ma tutto considerato… Lieto fine? Non credo che se ne possa parlare. La storia ingarbugliata di Amanda Knox è un incubo di violenza e cattive pratiche istituzionali, giustamente additate. La storia parzialmente ancora irrisolta, quella dell’assassinio di Meredith Kercher, è sempre stata in secondo piano. Una che, tutto sommato, mi interesserebbe anche di più ascoltare.