voto
6.5
- Band:
REINFORCER - Durata: 00:39:18
- Disponibile dal: 22/08/2025
- Etichetta:
- Scarlet Records
Una discreta sorpresa, questi Reinforcer: formati nel 2015 nel cuore della Germania settentrionale, il quintetto proveniente dalla città di Paderborn suona quella che potremmo definire come una mistura piuttosto riuscita di heavy classico e power metal teutonico, con una leggera propensione per il primo, però.
Power teutonico – è meglio sottolinearlo – del tipo Blind Guardian, Persuader e Orden Ogan; aspettatevi perciò di trovarvi davanti a soluzioni sì veloci e in doppia cassa, ma in cui le melodie risultano più cupe e malinconiche, le chitarre si presentano protagoniste non solo in fase solista e in cui il taglio epico di testi e immaginario siano inscindibili dal risultato finale.
Sotto questo punto di vista risulta piuttosto indicativa l’opener “Heir Of The Bear”, rocciosa e dinamica sorretta da un basso davvero spinto, ma che appunto mostra sempre un pizzico di epicità nelle interessanti linee vocali.
La successiva “Dead Men Tell No Tales” ci presenta invece il lato più classicamente heavy dei Nostri, giocando con successo con sonorità a cavallo tra Drakkar, Great Master, con naturalmente un pizzico di Running Wild.
È sempre la coppia d’asce Stappert/Schwarzer ad introdurci il terzo brano “Skogamor”, in cui i tempi rallentano ulteriormente, soprattutto all’altezza del refrain, mostrandoci appieno il mood epico su cui i Reinforcer hanno appoggiato di fatto anche artwork e testi.
La girandola di buoni brani continua, e l’oscuro uptempo di “The Witch Mayor” porta di nuovo l’attenzione sulle melodie e sulla persistente epicità che le intride, sottolineata sempre dalla bella voce del frontman Logan Lexi; un episodio subito seguito dall’arrembante title-track, il brano che più ci ha convinto tra tutti, per via di un interpretazione vocale a nostro parere davvero sentita e coinvolgente.
La seconda parte di album – pur rimanendo su livelli molto validi – non è però all’altezza del buon inizio; e cosi “The Piper” annoia un po’, risultando un po’ banalotta nel suo sound forse un po’ troppo Maiden-oriented e perdendosi via nei passaggi strumentali al centro del brano.
Anche “Five Brother” sparpaglia un po’ quanto apparecchiato con i primi eccitanti brani, appoggiandosi a soluzioni più orecchiabili e easy-listening rispetto quanto sentito finora… un male solo a metà però, perché comunque dobbiamo ammettere che nella sua semplicità comunque questo piccolo inno risulta anche godibile.
Citando per dovere di completezza anche la veloce “House Of Lies” e la ballad “Bring Out Your Dead”, chiudiamo l’analisi di un buon album, che in generale a un primo ascolto sembrerebbe meritare un sette pieno, che abbassiamo però di mezzo punto solamente per una certa mancanza di longevità: al quinto/sesto ascolto infatti l’impatto emotivo sembra scemare, e le soluzioni che al primo approccio ci avevano stupito per vivacità e freschezza rimangono giusto un attimo più prevedibili.
Un difetto veniale, lo capiamo, che siamo sicuri verrà limato sul prossimo lavoro – o, almeno, cosi speriamo. Comunque continuiamo a considerarli a loro modo come una sorpresa in ambito classic power.