di
Rinaldo Frignani
Il portavoce del movimento di estrema destra, Luca Marsella: «Noi non siamo come il Leoncavallo, a Milano un bluff per legalizzarli. Da qui non ci muoveremo e chiediamo di essere regolarizzati come loro»
«Al contrario di quello che non hanno fatto al Leoncavallo, se dovessero arrivare per sgomberarci, noi difenderemo il palazzo. Non è una dichiarazione di guerra o una provocazione. Ma la nostra occupazione non può essere paragonata a quella di Milano». Luca Marsella, portavoce di CasaPound Italia, è oggi uno dei responsabili del movimento dei «fascisti del terzo millennio», guidato sempre dal presidente Gianluca Iannone, che nel giugno 2019, dopo lo 0,33% delle urne alle Europee, ne decretò la fine dell’esperienza da partito per tornare alle origini. Alla nascita del primo centro sociale di estrema destra, che coincise con l’occupazione del palazzo di sei piani di proprietà dell’Agenzia per il Demanio in via Napoleone III, vicino alla stazione Termini, iniziata il 27 dicembre 2003.
L’avvertimento del ministro Piantedosi
Ora l’edificio, sequestrato a maggio 2020 e costato — secondo la Corte dei Conti — 4,6 milioni di euro di mancati introiti per il Demanio a causa dell’occupazione che per i giudici ha impedito di poterlo affittare, è anche più di prima al centro delle polemiche perché dopo quasi 22 anni lo Stato non ne è ancora rientrato in possesso. Il centrosinistra, dopo la riconsegna ai proprietari dei locali del Leonka, sollecita con forza un intervento del Viminale e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi — che nel 2022, da prefetto di Roma, ha inserito lo stabile nella graduatoria del Piano sgomberi (ora è al sesto posto) — non esclude che «prima o poi arriverà anche il suo turno».
«Nel palazzo anche militanti che hanno bisogno di una casa»
«Non ci tirate in mezzo alla storia di Milano — commenta tuttavia Marsella —, ma sappiate che vogliamo avere lo stesso trattamento riservato ai centri sociali di sinistra». E cioè? «L’operazione milanese è stata un bluff per regolarizzare un’illegalità — è il pensiero del portavoce di Cpi —, non c’è stato sgombero, ma un accordo con il Comune per trasferirlo in un capannone (via San Dionigi, zona Porto di Mare, ndr). Un po’ come è successo a Roma con il Porto Fluviale (al centro di un progetto di rigenerazione urbana del Campidoglio, Porto Fluviale RecHouse da 13,2 milioni di euro, ndr), per il quale sono stati investiti anche fondi Pnrr. Dietro c’è solo business. Si spendono milioni, ma non per la nostra occupazione dove a rotazione assistiamo venti famiglie italiane». Tra questi, anche i militanti? «Certo, se hanno bisogno di una casa — afferma ancora —. Solo che noi piantiamo il Tricolore».
«Solo noi condannati, il ministro Giuli ha capito cosa chiediamo»
Nel 2023 dieci attivisti, ritenuti responsabili dell’occupazione di via Napoleone III, sono stati condannati a due anni e due mesi. Fra loro anche Iannone, al quale nel luglio scorso i giudici hanno inflitto un altro anno, come allo stesso Marsella, per i tafferugli con la polizia davanti al circolo futurista di Casal Bertone (gennaio 2022). Non sono i soli, vicini al movimento, a essere finiti al centro di indagini per apologia del fascismo o violenze. «Non è vero che non siamo mai stati oggetto di sgomberi, anzi ne abbiamo subiti sia da amministrazioni di centrodestra e sia da quelle di centrosinistra», ricorda il portavoce di CasaPound, che rivendica: «Solo che noi, a differenza di altri, per le occupazioni veniamo condannati. Credo che il ministro Giuli abbia capito di cosa abbiamo bisogno: essere messi in regola, non vogliamo restare occupanti per sempre. Ma da qui non ci muoveremo».
Vai a tutte le notizie di Roma
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
25 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA