di
Giusi Fasano

Un’infermiera di 35 anni è la persona che ha reso pubblica la vicenda della pagina Facebook con quasi 32.000 iscritti nella quale molti uomini postavano foto intime delle proprie mogli, senza avere il loro consenso

«Chiariamo una cosa, per favore. Al centro dev’esserci il problema, non io. Non cerco visibilità. Quello che ho fatto l’ho fatto per coscienza civica personale. È stato un piccolo gesto e onestamente non mi sarei mai aspettata che diventasse una questione internazionale. Ma va bene così, sono contenta di aver dato il mio contributo».

Federica ha 35 anni, è toscana ed è un’infermiera. È lei il granello di sabbia che ha inceppato l’ingranaggio.
Fra i mariti del gruppo facebook «Mia moglie» è andato tutto liscio finché una pagina di quella comunità virtuale non è comparsa sul suo profilo. Una pura casualità. Non parliamo di nudi o di pornografia. Parliamo di una fotografia che uno dei mariti anonimi iscritti al gruppo aveva appena postato. Il solito schema: un dettaglio del corpo della signora come merce da esporre, con l’invito alla community: «Che ne pensate?». Federica ha guardato quello e altro e alla fine ha deciso: non possono passarla liscia. È stata lei la prima a segnalare tutto. Un piccolo granello di sabbia, appunto, che nel giro di pochi giorni ha bloccato l’intero sistema e ha portato alla chiusura della pagina online.



















































Quindi succede che lei guarda quella foto e…
«Guardo quella foto comparsa sulla mia pagina facebook e mi chiedo: “Che cos’è questa roba?”. Era stata postata da un anonimo. Era il seno di quella donna in primo piano, era evidente che chi l’aveva pubblicata cercava commenti di un certo tipo, che infatti c’erano. Il solito corollario di volgarità. Mi sono incuriosita e ho pensato: voglio proprio capire che fanno, questi».

E si è registrata.
«Assolutamente no. Era una pagina aperta a tutti, si poteva scorrerla senza registrarsi e così ho fatto».

A quel punto ha scoperto che in tanti postavano immagini delle loro partner senza chiedere il permesso.
«Ho scoperto quello di cui tanto si parla in questi giorni e di cui loro si vantavano. Dopo aver visto un po’ di foto mi sono detta: “Vabbè, qui dentro ci sono furti di immagini, ci sono reati”. E ho deciso di scrivere a facebook».

E com’è andata?
«Non ho avuto riscontri ma ho detto alle mie amiche di segnalarla anche loro, così ho scoperto che un’amica l’aveva già segnalata e facebook le aveva risposto: non c’era nessuna violazione delle loro linee guida, dicevano».

Quindi si è rivolta altrove.
«Sì. Ho scritto alla Polizia postale ma non ho avuto feedback. Avranno chissà quante segnalazioni ogni giorno e capisco che non possano stare dietro a tutto. E quindi ho deciso di rivolgermi alla scrittrice Carolina Capria che seguo via Instagram e che ha tanti follower. Le ho scritto per dirle: aiutami anche tu a segnalare questa pagina. Lei lo ha fatto e il giorno dopo il caso è letteralmente esploso».

È senza dubbio un caso nazionale, ma ne hanno parlato anche la stampa americana e britannica…
«Come le dicevo, non mi aspettavo tutta questa reazione. Anche perché di solito su questi argomenti è difficile sfondare il muro dell’omertà. Si tende a sminuire tutto, a far passare la teoria che è solo un gioco innocente, come ho letto che dicono alcuni degli uomini scoperti dalle loro mogli. Ma non c’entra niente il gioco. E non c’entra il moralismo. Ciascuno è libero di fare quel che vuole ma se un uomo dà in pasto al mondo del web la foto intima di sua moglie senza chiederle il permesso ha un problema con il concetto di consenso, e mi pare che non sia un problema di poco conto. È questo l’aspetto che conta di più in questa storia».

Che effetto le fa essere la donna che ha fatto crollare tutto?
«Oddìo, non mi sono mai trovata in una situazione del genere. Sono contenta di sapere che se ci si muove in massa, com’è successo dopo la mia segnalazione, le cose possono cambiare e si possono ottenere risultati. Tra l’altro è la prima volta che segnalo qualcosa. Era giusto così. So che a Carolina Capria e alle altre attiviste che hanno amplificato le segnalazioni all’inizio sono arrivati un sacco di insulti via social e questo la dice lunga su quanta strada c’è ancora da fare in questo Paese su questi argomenti. Sono da sempre sensibile alle questioni della violenza di genere. Che sensibilità è se poi puoi fare qualcosa e non la fai? Questo è stato il punto di partenza: potevo fare quel piccolo passo e l’ho fatto».

Perché non il cognome? La spaventa la possibile reazione di qualche irriducibile del gruppo facebook?
«No. Come dicevo preferirei che ci concentrassimo sul problema e non su di me. Quello che mi spaventa è la questione culturale. Non si parla di uomini malati, si parla di uomini che non hanno consapevolezza del disvalore delle loro azioni. È un problema profondo, e purtroppo temo che non si risolva chiudendo un gruppo facebook».

25 agosto 2025