di
Stefano Righi
Dopo il «no» dell’assemblea di Piazzetta Cuccia a Nagel, Lovaglio punta all’8 settembre per la conclusione dell’ops. Gli interessi sulle Generali e il ruolo decisivo dei francesi del Crédit Agricole, primi azionisti in Piazza Meda a Milano
Temperature in rialzo, dalla scorsa settimana, a Piazza degli Affari. L’esito dell’assemblea di Mediobanca, con i soci che hanno detto «no» all’acquisizione di Banca Generali, pone ora tutta l’attenzione sui prossimi quindici giorni. Da qui all’8 settembre si andrà infatti a concludere l’offerta pubblica di scambio voluta dal Monte dei Paschi di Siena sulla totalità delle azioni di Mediobanca stessa. Un’operazione capace di rivoluzionare gli assetti finanziari del Paese, aprendo a una serie quasi infinita di interrogativi per le correlazioni che porta con sé.
Mediobanca, infatti, è la prima azionista delle Assicurazioni Generali (854 miliardi di risparmio prevalentemente italiano in gestione), uno dei poli dell’asset management nazionale. Ma nel corpo azionario di Mps trovano spazio anche il Banco Bpm, che con la controllata Anima ha in portafoglio il 9 per cento e soprattutto la finanziaria Delfin e il gruppo Caltagirone entrambe con una quota di poco inferiore al 10 per cento. A questi azionisti privati si affianca il primo azionista della banca senese, il governo italiano attraverso il Mef, che la salvò nel 2017 con una imponente iniezione di liquidità e che oggi controlla l’11,7 per cento del capitale. È proprio la presenza della mano pubblica che catalizza le maggiori critiche all’operazione. Il governo condiziona il mercato, si sente dire. Ma bisogna anche intendersi su cosa sia «il mercato». Non ne esiste uno buono e uno cattivo a seconda delle personali convenienze. Forse che Eni ed Enel non sono soggetti di mercato a causa della presenza nel capitale di una importante quota pubblica? O forse che i rapporti commerciali esistenti con grandi istituzioni finanziarie internazionali come BlackRock non ne condizionano la vision? L’operazione Mediobanca, voluta da Luigi Lovaglio, amministratore delegato di Mps è ancora tutta da decidere. E conterà non solo il risultato finale (vinto? Perso?), ma anche lo score: 35 per cento di azioni conferite? 51 per cento? 67 per cento? Il futuro dipende da queste risposte.
Terzo Polo
Il governo, senza annunciarlo, sta certamente favorendo la nascita di un terzo polo finanziario di dimensione nazionale, forse europea, alternativo ai due big esistenti, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Lo ha fatto difendendo, con un golden power difficile da giustificare tra due banche italiane, l’offensiva di Unicredit sul Banco Bpm, elemento questo che rivela la strategicità, anche per Roma, dell’attuale terza forza creditizia italiana, il Banco Bpm di Giuseppe Castagna. Quale ruolo spetterà, nel prossimo futuro, alla banca milanese di Piazza Meda? Castagna, che già controlla il 10 per cento di Siena, entrerà a far parte di questo ipotetico terzo polo che da Siena passa due volte per Milano e poi potrebbe arrivare a Trieste? Va detto che, nel capitale del Banco Bpm, trova spazio con oltre il 20 per cento delle azioni, il colosso francese Crédit Agricole. È il primo azionista ed è fin qui cresciuto nel capitale solo per proteggere il proprio investimento e la pluralità di accordi commerciali in corso. Ma domani? Cosa farà l’Agricole se si creerà davvero il terzo polo nazionale? Parteciperà, da straniero? O verrà liquidato? E in cambio di cosa?
La storia racconta che nell’ultimo mezzo secolo la presenza francese ha aiutato le banche italiane a uscire da situazioni scabrose: si iniziò con la nascita di Intesa dopo il crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, fino ad arrivare ai salvataggi delle casse di risparmio e delle popolari nella seconda metà dello scorso decennio. L’Agricole è già oggi, numeri alla mano, la terza banca operante in Italia. Un traguardo raggiunto con discrezione, continuità e un modus operandi che ha fatto dell’understatement il proprio tratto distintivo. Ma ora? I francesi potrebbero trovarsi davanti all’ennesimo bivio.
Evoluzioni
I complessi intrecci finanziari e industriali esistenti tra i protagonisti del risiko bancario evidenziano la presenza di un altro big player. Se Intesa Sanpaolo, forte della sua ampia leadership domestica si è sempre chiamata fuori dalle operazioni in corso, non così ha fatto Unicredit, che dallo scorso 11 settembre (annuncio dell’interesse per la tedesca Commerzbank) ha agitato i mercati d’Italia (Banco Bpm) e d’Europa. Il vulcanico Andrea Orcel, il manager che ha portato Unicredit a valere 100 miliardi di euro in Borsa, cosa farà adesso? Negli ultimi dodici mesi ha avuto prova delle difficoltà oggettive che si incontrano nei rapporti di forza con i governi. Lascerà cadere Commerzbank accontentandosi di laute plusvalenze per i propri soci, come ha fatto in qualche maniera con Banco Bpm, o andrà avanti? E in Italia? Non potendosi aggregare al nascente terzo polo, che sorgerebbe proprio come alternativa anche a Unicredit, a chi rivolgerà la propria attenzione? Tra le banche di rilievo c’è solo Bper capace di dare presenza e incisiva redditività ai conti nazionali di Unicredit. È presto per parlarne, ma i prossimi mesi, dall’8 settembre in avanti, saranno ricchi di novità.
Nuova app L’Economia. News, approfondimenti e l’assistente virtuale al tuo servizio.
SCARICA L’ APP
Iscriviti alle newsletter de L’Economia. Analisi e commenti sui principali avvenimenti economici a cura delle firme del Corriere.
25 agosto 2025 ( modifica il 25 agosto 2025 | 14:11)
© RIPRODUZIONE RISERVATA