«Quando facevo la presidente di qualcosa, per scrivere mettevo la sveglia alle 5». Un giro del mondo in nave nel periodo del Covid, decenni tra Europarlamento e Palazzo Lascaris, cene con Mikhail Gorbaciov e battibecchi locali con Cota e «quel testone di Chiamparino». La vita di Mercedes Bresso, 81 anni, ha avuto molte facce. Una resiste ancora oggi nel suo buen retiro dalla politica: la scrittura. Un’abitudine, per i politici torinesi di centrosinistra, che è tornata sotto i riflettori dopo l’annuncio del libro noir che il sindaco Stefano Lo Russo sta scrivendo. Bresso di libri ne ha pubblicati decine. L’ultimo, l’ottavo volume di Delitti di lago, ad aprile: «Forse i politici dem scrivono di più di quelli di destra perché guardano più lontano, hanno più fantasia».
I maligni all’opposozione diranno: tempo perso al posto di dedicarsi alla politica.
«Il sindaco governa e scrive. E anche io ho scritto molto negli anni da governatrice. Per farlo, mi svegliavo all’alba e interrompevo appena arrivavano le prime chiamate».
Se lo immaginava Lo Russo nei panni di scrittore?
«Proprio no. È un geologo, uno scienziato: non lo vedevo come autore, ancor meno come giallista. Ma sono curiosa, leggerò il suo libro».
Anche lei è un’economista ma ha scritto molto.
«Ma gli economisti, alla fine, rientrano vagamente nel pacchetto delle scienze umane».
Ecco il Pd radical chic: possono scrivere solo gli umanisti?
«Ma no. Non diciamo che scrivere è solo per politici colti altrimenti qualcuno dal centrodestra, che qui produce meno, la prende sul personale».
Il suo primo libro?
«Nel 1979, si intitolava Lavoro, spazio e potere. All’inizio scrivevo molto di economia».
Alla fine anche lei, però, è passata ai libri gialli.
«La serie Delitti di lago è arrivata all’ottavo volume, sono contenta. Ma ho sempre scritto per passione».
Ha casa a Stresa e come ambientazione per i libri ha scelto spesso il lago. Torino mai?
«Avevo pensato di scrivere racconti ambientandoli nei quartieri più interessanti. Ma ora, sapendo che il sindaco scrive un libro su Torino, meglio desistere».
Il Pd è abituato al correntismo: niente competizione interna sui libri?
«Ma va. Il problema è che a Torino ci sono tanti scrittori e non è facile. Io ho una venerazione per Margherita Oggero: forse ho evitato di ambientare qui i miei libri per non dovermi confrontare con lei».
Il sindaco si ispira a Jo Nesbø. Lei?
«Sono della scuola Agatha Christie. Ma, senza scomodare Fruttero e Lucentini, anche a me piacciono i gialli nordici e quelli di Alicia Giménez Bartlett».
E i libri dei colleghi?
«Non amo le autobiografie politiche scritte per dire la propria storia e le proprie idee. Non ho mai letto un libro di un collega».
Nemmeno Veltroni?
«Mai. Neanche Franceschini. Ma lì sbaglio io: tutti dicono che scrivono molto bene. Se devo scegliere il libro di un politico, scelgo Il presidente è scomparso di Bill Clinton con James Patterson».
Non ha mai mischiato politica e narrativa?
«No, meglio evitare. Ne Il profilo del tartufo c’è una scena ambientata in Consiglio regionale, ma senza riferimenti».
È pericoloso, per Lo Russo, ambientare il suo libro a Palazzo Civico?
«No. E poi il Municipio di Torino si presta bene a un giallo: è un labirinto, io mi perdo ancora oggi».
Si aspetta frecciatine politiche tra le righe?
«Non credo. Politicamente parlando, eviterei di far morire qualche avversario».
Soprattutto dei 5 Stelle, in un periodo così. O no?
«Meglio non scriverne».
Sta lavorando a un libro?
«Sì, sono presidente di realtà più piccole e ho molto tempo libero. Con mio marito Claude (Raffestin, geografo, ndr) lavoriamo su un’idea che mi ero promessa per i miei 80 anni sulla storia delle nostre nonne. Siamo a pagina 200. È un modo per ripercorrere le nostre vite e i loro intrecci».
Altolà: non è un’autobiografia di una politica?
«È una storia umana. La politica al massimo era nei miei libri ecofantasy ma non hanno avuto successo. Peccato: ho scritto come finirà il mondo e cosa fare per evitarlo».