di
Lorenzo Cremonesi
A Dobropillia, città devastata dall’artiglieria di Mosca. La sfida dei soldati ucraini: noi e i russi usiamo gli stessi pezzi, venduti dai cinesi
DOBROPILLIA (DONBASS) – «Vedi tutti questi droni? Alla fine, quelli che ci guadagnano di più da questa guerra sono i cinesi, vendono sia a noi che ai russi i componenti fondamentali. Tutti compriamo da Pechino». Le frasi del maggiore Sergei — ingegnere e ufficiale 48enne del battaglione di forze speciali «Taifun» incaricato di coordinare le unità dei droni nel Donbass — ci accompagnano nella visita ai loro bunker comando e poi sulla linea del fronte nella cittadina sconvolta dai raid russi di Dobropillia.
UCRAINA-RUSSIA, LA GUERRA IN DIRETTA
Ci arriviamo in circa un’ora e mezza di auto da Kramatorsk su strade dove i genieri ucraini stanno stendendo ragnatele di reti sospese per contrastare i droni nemici. I comandi di Mosca avevano iniziato l’attacco per prendere Dobropillia l’11 agosto e da allora la linea delle trincee sta rapidamente cambiando in tutto il Donbass settentrionale.
Ma, prima di arrivare nel cuore della cittadina che in tre settimane è stata distrutta dai bombardamenti russi per il 40 per cento e dalla quale gran parte dei suoi 28 mila abitanti hanno scelto di sfollare, facciamo tappa nel bunker comando della «Taifun». È stato adattato negli scantinati di alcune palazzine di epoca sovietica e scendendo pochi gradini sottoterra si entra nel laboratorio della guerra del futuro. «Noi disponiamo di droni commerciali manufatti in carbonio dalle ditte ucraine. Qui poi li modifichiamo per le esigenze dei combattimenti: aggiungiamo i dispositivi per agganciare le bombe e mettiamo le batterie al litio potenziate», racconta Sergei.
Attorno a lui ci sono tecnici e ingegneri in maglietta e pantaloncini. Lavorano come fossero in un qualsiasi centro di ricerche, sugli schermi dei computer appaiono paginate di formule matematiche. Ricevete anche droni dagli alleati della Nato? «Sì, ma non servono, si rivelano obsoleti. Ormai siamo noi ucraini a insegnare agli alleati in Europa o negli Stati Uniti le tecnologie della nuova guerra nei cieli. A noi più che altro servono aiuti economici per comprare sul mercato il meglio dell’elettronica», risponde mostrando le batterie superleggere e la componentistica cinesi. Da una serie di scaffali recupera le fibre ottiche e le matasse di cavi che servono per controllare i droni a filo. «Questi funzionano per evitare le interferenze elettroniche russe. I nostri cavi però sono lunghi 15 chilometri, quelli russi arrivano a oltre 25 e loro sono molto bravi nel costruire i meccanismi che paralizzano i nostri telecomandi. La sfida è tutta qui: sapere essere sempre un passo avanti del nemico. Ed è un processo velocissimo. Il meccanismo, l’arma che oggi sembra decisiva, già tra un mese potrebbe rivelarsi superata. Siamo in rincorsa continua».
In questo laboratorio modificano soprattutto droni che valgono tra i 500 e 1.000 dollari. Sono armi usa e getta con un raggio di 10-15 chilometri. Quelle dei russi sono costruite in alluminio, meno sofisticate, ma molto efficaci quando lanciate in grande numero. «Per ogni nostro drone i russi ne sparano dieci; dispongono anche di più uomini da mandare in pattuglia», dice l’ufficiale. Da pochi giorni entrambi gli eserciti stanno lanciando i matka, i droni «madre» che possono volare sino a 50 chilometri di distanza e hanno attaccati alle ali due piccoli «figli» kamikaze. Oggetti costosi: oltre 200 mila euro per un singolo matka: sino ad ora vengono usati con parsimonia.
Verso mezzogiorno percorriamo in jeep gli ultimi 20 chilometri di strada deserta per Dobropillia. «Il nostro mezzo è dotato di jammer per interferire nelle lunghezze d’onda dei droni russi. Ma la tecnica migliore è viaggiare a oltre 150 all’ora, visto che in genere loro non superano i 70», dice l’autista, un trentenne di Dnipro.
Gli ultimi 2-3 chilometri sono assolutamente spettrali. Già dai primi palazzi appare evidente la solita tecnica russa della terra bruciata. Le loro bombe plananti e le artiglierie stanno distruggendo la zona urbana con sistematica ferocia. Le loro pattuglie avanzate sono a quattro o cinque chilometri dal centro. Dobropillia inizia a ricordare gli scenari visti a Bakhmut, Avdiivka, Pokrovsk o Chasiv Yar, le città che hanno già occupato o stanno prendendo.
«C’è da chiedersi dove troverà i soldi Putin per ricostruire. Avrà bisogno di miliardi», osserva il soldato che ci scorta con il mitra puntato verso il cielo, nel caso dell’arrivo di droni.
Ogni tanto passa un civile carico di sacchi di cibo. Acqua e luce sono interrotte, i negozi hanno chiuso e la gente viene aiutata dai soldati. «Noi abbiamo invitato tutti a evacuare, ma tanti anziani preferiscono restare, vivono come topi rintanati nelle cantine», spiega Sergei.
Anche la zona del mercato è stata colpita: sacchi di patate, carote, conserve sono riversi nei vicoli. Si vedono piccioni e cani morti. A un certo punto un ronzio spettrale ci fa correre in un negozio abbandonato. Un anziano passa con la sua bici carica di pacchi. «Non voglio parlare con i giornalisti», sibila ostile. Un’ora dopo il nostro arrivo decidiamo di ripartire.
26 agosto 2025 ( modifica il 26 agosto 2025 | 07:24)
© RIPRODUZIONE RISERVATA