di
Irene Soave

I retroscena sulla telefonata, la presidente lo interrompeva e correggeva

In un’intervista della scorsa estate al periodico cattolico Salve elencava «i fondamenti dell’agire coraggioso»: «Formarsi un’opinione e difenderla. Seguire i propri valori, la propria personalità». Karin Keller-Sutter non era ancora la presidente (di turno) della Confederazione svizzera; né aveva del tutto mostrato al mondo l’«agire coraggioso» che oggi può costarle caro, o consacrarla come la leader che ha tenuto testa a Donald Trump. Quale dei finali attende KKS, acronimo che la identifica nella stampa svizzera oggi critica nei suoi riguardi, dipenderà dalle trattative con Washington in autunno: la Svizzera riuscirà a convincere Trump a levare il mega dazio del 39% sulle esportazioni verso gli Usa e scendere a un più mite 15%, come negoziato dall’Europa? Sarà lei a condurle?

La fatidica telefonata
Il dazio è in vigore dal 7 agosto ed è stato imposto a Berna dopo una disastrosa telefonata del 31 luglio tra KKS e Trump. La telefonata doveva chiudere un accordo elaborato in centinaia di ore di riunione tra i segretari del Tesoro dei due Paesi; è finita come è finita, con Trump che tuonava «non mi ha ascoltato». I giornali svizzeri ne diffondono ricostruzioni contrastanti. La prima, una settimana fa, era stata diramata dalla presidenza. Dimostrava che KSS non avesse fatto nulla per indisporre Trump, diventato aggressivo motu proprio (scenario non fantascientifico).



















































Ma domenica il tabloid domenicale Blick ha attribuito a due fonti anonime della Casa Bianca virgolettati come «Trump ne ha abbastanza di lei», e «non è un problema tra due Paesi, ma tra due personalità», frase detta anche da Trump. E ancora: «Clinton non sarebbe rimasto al telefono più di dieci minuti» con quei toni e neppure Obama. La presidente svizzera avrebbe interrotto e corretto Trump su un punto: il disavanzo commerciale da 40 miliardi tra i due Paesi, che secondo lei è errato, o comunque non dannoso per gli Usa, e che lui definiva «un furto». Un vero «corso intensivo di economia e politica economica», dice la fonte a Blick. Con lei, conclude, ha chiuso. Di qui le richieste dei tabloid e dei Popolari (opposti ai Liberali di KKS): la presidente si dimetta e mandi a negoziare il vice Guy Parmelin.

Le trattative
Già, perché se il mega dazio vige dal 7 agosto, è da allora che il governo svizzero lavora per offrire a Trump una proposta più gradita. Secondo indiscrezioni pubblicate ieri da Reuters, nella bozza — che si attende pronta a settembre, da presentare a ottobre — ci sarebbe un aumento dei contratti tra Usa e Svizzera in tema di difesa e energia. E anche punti finora tabù, come l’importazione di carne (gli allevatori sono una base elettorale coccolatissima) e di auto. A Berna questo costerebbe 400 miliardi di franchi, stima la Neue Zürcher Zeitung. Ma è meglio del dazio del 39%.

La presidenza e il ring
Certo, la fiducia in Karin Keller-Sutter come negoziatrice di questo accordo è in calo. Ai minimi, per una presidente che finora la stampa e l’establishment avevano portato in palmo di mano: il punto più alto della sua carriera era stato, nel 2023, quando dopo soli due mesi in carica da ministra delle Finanze aveva gestito il salvataggio di Credit Suisse a mezzo matrimonio d’interesse con la banca rivale Ubs «come un faro per gli svizzeri» (così il Financial Times, che la inserì nelle donne dell’anno). 

Il piano «miracoloso» (ancora il FT) le era riuscito allora in 48 ore; oggi c’è chi si chiede se non le abbia dato troppa sicurezza nel trattare con Trump, sottovalutandone l’ego. Nativa del cantone di San Gallo — Svizzera tedesca, cattolica — KKS ha sempre militato nei liberali. Anche per questo era stato particolarmente audace il suo salvataggio di Credit Suisse con soldi pubblici, contro l’ethos del suo partito e anche contro la sua educazione di figlia di macellaio e poi oste nella piccola Jonschwil: il culto dei conti in ordine. Un sangue freddo trasversalmente lodato nel mondo degli affari. 

Durante il Covid era consigliera federale: combinò sostegno alle imprese e rigore, anche attingendo all’esperienza diretta del marito da cui prende il primo cognome, Morten Keller, medico legale con incarichi pubblici a Zurigo. «Come il mio cane» — ora ne ha uno di nome Picasso — «non accetto museruole», era il suo slogan quando nel 1992 si candidò a consigliera comunale nella sua città, primo incarico della sua carriera. Classe 1963, si è diplomata da interprete e poi in Pedagogia; un profilo del 2018 della tv pubblica svizzera rintraccia in questa formazione le radici del suo «spirito di servizio» e della sua «modestia»; pochi sanno, però, aggiunge il Financial Times in un ritratto del 2023, che nel tempo libero KSS si allena sul ring: la sua passione è il pugilato.

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26 agosto 2025 ( modifica il 26 agosto 2025 | 12:14)