di
Marta Blumi Tripodi
Il gruppo racconta l’ultimo lavoro «Fumo»: «Vogliamo farci narratori di uno stato d’animo comune»
Fondati a Milano nel 1987, fino a oggi i Casino Royale – iconica band dell’underground italiano, che ha importato da noi sonorità come trip hop, dub e ska facendo sì che città come Londra e Berlino sembrassero un po’ più vicine – non si sono mai ufficialmente sciolti. Nel nuovo millennio però la loro attività si è senz’altro diradata, soprattutto per motivi di ordine pratico. «A parte qualche rara eccezione, nella vita nessuno di noi fa solo il musicista: ogni momento che ci ritagliamo per suonare insieme è una conquista preziosissima» spiega Alioscia Bisceglia, da sempre leader del gruppo e autore dei testi. «Io ad esempio sono dj e curatore artistico, ma gestisco anche un bar, e ieri finite le prove col gruppo sono andato a comprare la birra da un grossista». Quello che per alcuni potrebbe essere uno svantaggio, per loro è un plus: «La vita vera ti dà una spinta di orgoglio e di consapevolezza, un’urgenza che si trasforma in un flusso di coscienza collettivo. Siamo immersi nel mondo reale e lo raccontiamo per come lo percepiamo» racconta.
Il frutto di questa urgenza è il loro ultimo lavoro, «Fumo», uscito a primavera e che questa estate stanno portando in tour in tutta la penisola. Non si tratta di un vero e proprio album, ma di una sorta di suite ininterrotta da 15 movimenti, da ascoltare tutta d’un fiato senza pause. «È fruibile anche come forma canzone, volendo, ma ci sembrava più interessante cucire un racconto unico: abbiamo voluto chiedere al pubblico di dedicarci mezz’ora e farsi questo viaggio con noi» dice. «Non volevamo fare un disco piatto in cui ogni brano dev’essere per forza una hit, come spesso si fa di questi tempi». Le ospiti sono giovani e giovanissime: la cantautrice Marta Del Grandi, la rapper Alda e perfino la «misteriosa» Alina B, ovvero la figlia settenne di Alioscia stesso («L’album si chiude con la sua voce perché dà una nota di speranza: il futuro è dei suoi coetanei, non nostro»). A tenere insieme le fila di tutto c’è il produttore Clap! Clap!, «un genio folle e iperproduttivo, che ha dato una spinta eccezionale ai nostri pezzi».
Il fumo del titolo è la cortina che nasconde la realtà, ma anche quello usato nei rituali ancestrali di purificazione per scacciare gli spiriti maligni. Il percorso artistico dei Casino Royale era cominciato nei centri sociali milanesi, e la matrice critica dei loro testi non è mai cambiata. «Ho cominciato a scrivere il disco guardando l’assalto a Capitol Hill, ho continuato leggendo di geopolitica e informandomi mentre il mondo andava a rotoli» ricorda Alioscia. «Lo stato d’animo che ci sentiamo addosso oggi, specie dopo Gaza, è quello della depressione totale dopo una nottata di bagordi». Nelle varie tracce si parla di tutto: tecnologia, decrescita, guerre distopiche, emigrazione («Mia figlia maggiore lavora con i profughi, i suoi racconti mi hanno segnato molto»). E anche di una città che non c’è più: «A Milano sei sempre sotto pressione, devi essere competitivo. Ai tempi era una città molto più accogliente, oggi è piena di tensione: sembra uscita da una scena de “L’odio” di Kassovitz» commenta. Malgrado tutto, però, per i Casino Royale il pessimismo non prevarrà: «Per quanto sia difficile, non possiamo stare qui a piangerci addosso, dobbiamo reagire. Vogliamo farci narratori di uno stato d’animo comune».
25 agosto 2025
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