Uno studio rivela che chi è molto sensibile è più vulnerabile agli stress del mondo. Ma risponde anche meglio alle terapie

Eugenio Spagnuolo

26 agosto – 18:21 – MILANO

Una persona su tre ha una sensibilità più acuta del normale. Nota ogni sfumatura nell’umore altrui, percepisce rumori che altri ignorano, si lascia travolgere dalle emozioni più facilmente. Non è un difetto “caratteriale”, ma un tratto di personalità ben preciso che ha un nome scientifico: sensibilità di elaborazione sensoriale. E che, secondo il primo studio sistematico mai condotto sull’argomento, può aumentare il rischio di disturbi dell’umore. 

L’analisi, pubblicata su Clinical Psychological Science, ha passato al setaccio 33 ricerche che avevano coinvolto quasi 13.000 persone. E la scoperta è stata che chi ha una personalità più sensibile ha maggiori probabilità di sviluppare problemi di salute mentale. “La nostra è la più estesa revisione sistematica sulla sensibilità e la salute mentale in adolescenti e adulti mai realizzata finora, ed è la prima meta-analisi sull’argomento a stimare l’impatto di questa relazione”, spiega Tom Falkenstein, psicoterapeuta e dottorando alla Queen Mary University di Londra. “Abbiamo trovato correlazioni positive e moderate tra sensibilità e vari problemi di salute mentale come depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress, agorafobia e disturbo della personalità evitante”. 

ipersensibilità: cos’è—  

Ma cosa significa esattamente essere ipersensibili? Nel loro studio, i ricercatori definiscono la sensibilità come un tratto di personalità che riflette la nostra capacità di percepire ed elaborare stimoli ambientali, come luci intense, cambiamenti sottili nell’ambiente e gli stati d’animo degli altri. Non si tratta di essere più emotivi o introversi: è una caratteristica neurologica ben precisa.

Le persone altamente sensibili elaborano le informazioni più profondamente, si sentono facilmente sopraffatte da alcune situazioni e hanno una soglia più bassa rispetto agli stimoli sensoriali. Percepiscono sfumature che sfuggono agli altri: il cambio quasi impercettibile nell’espressione di un volto, il ronzio di una lampadina fluorescente, la tensione in una stanza. Questa capacità può essere un dono – li rende più empatici, creativi e attenti ai dettagli – ma può anche trasformarsi in un peso quando il mondo diventa troppo intenso da gestire. 

Non solo estetica—  

La ricerca mostra che non tutti gli aspetti della sensibilità influiscono allo stesso modo sul benessere mentale. Chi si sente facilmente sopraffatto o ha difficoltà a filtrare rumori e luci, per esempio, potrebbe essere più a rischio di sviluppare problemi psicologici rispetto a chi è solo più sensibile alla bellezza dell’arte o della musica.

“Tutto questo suggerisce che la sensibilità dovrebbe essere considerata di più nella pratica clinica, cosa che potrebbe essere usata per migliorare la diagnosi delle condizioni”, continua Falkenstein. E qui si apre un paradosso interessante. Perché se è vero che le persone altamente sensibili sono più vulnerabili ai disturbi mentali, lo è anche che possono rispondere meglio alla terapia. “Circa il 31% della popolazione generale è considerato altamente sensibile, e, come mostrano i nostri risultati, è più probabile che risponda meglio ad alcuni interventi psicologici rispetto agli individui meno sensibili”, precisa il ricercatore. 

terapie—  

Le tecniche di mindfulness e di rilassamento e le strategie per gestire l’iper-attivazione potrebbero essere le efficaci per chi vive con disagio il surplus di sensibilità. Perché alla fine, come puntualizza lo studio, essere altamente sensibili non è né un difetto né un superpotere: è solo un modo diverso di elaborare il mondo, che può portare sì a una maggiore vulnerabilità, ma anche a una maggiore capacità di guarigione.