di
Viviana Mazza

Hamas vuole la fine della guerra mentre Israele offre solo una tregua parziale

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE 
NEW YORK – L’annuncio del ritiro americano dai negoziati da Doha perché Hamas ha mostrato «una chiara mancanza di volontà di arrivare a un cessate il fuoco» lascia nell’incertezza i tentativi di giungere a un cessate il fuoco a Gaza. Non è chiaro in che modo Washington intende cercare «soluzioni alternative per riportare gli ostaggi a casa — come ha scritto sui social Witkoff — e cercare di creare un ambiente più stabile per la popolazione di Gaza».

Fonti israeliane hanno descritto il ritiro delle delegazioni americana e israeliana come un tentativo per fare pressione su Hamas, scrive il quotidiano Haaretz: una mossa coordinata con il Qatar. Potrebbe trattarsi di una tattica negoziale per cercare di spingere il gruppo a cambiare posizione su alcuni punti. Poco prima gli israeliani avevano detto al Financial Times che l’ultima proposta di Hamas era «qualcosa su cui potevano lavorare», per poi annunciare il ritorno in Israele «per ulteriori consultazioni», insistendo però che i negoziati non sono falliti ma richiederanno tempo e che l’obiettivo è di «scuoterli» e «modificare la posizione di Hamas».



















































Questo mese Trump e Witkoff hanno parlato in modo ottimistico della possibilità di arrivare a una tregua, ma diversi diplomatici ed esperti si sono detti scettici nel breve termine. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ripetutamente rifiutato di discutere una fine permanente della guerra, mentre Hamas ha più volte cambiato le sue richieste. Jonathan Panikoff, ex funzionario dell’intelligence Usa in Medio Oriente, ha detto al sito Politico che i negoziati potrebbero riprendere ad un certo punto e che spesso ci sono periodi di stallo nei colloqui: «La decisione degli Stati Uniti di ritirarsi riflette una genuina frustrazione e forse la speranza che solo questo possa convincere Hamas a riconsiderare la sua intransigenza». Un portavoce del dipartimento di Stato, Tommy Pigott, ha detto ieri che questa «è una situazione dinamica» ma non è mai stato in questione l’impegno americano ma l’impegno di Hamas.

Nelle ultime settimane c’erano stati piccoli progressi ma non una svolta, nei negoziati in Qatar. Le discussioni si sono concentrate su una bozza presentata da Stati Uniti, Qatar e Egitto che prevede una tregua di 60 giorni, il rilascio di alcuni dei 50 ostaggi israeliani (metà di quelli ritenuti ancora in vita) e l’inizio di colloqui per la fine permanente della guerra. Ma ci sono diversi nodi. La visita di Witkoff in Sardegna era stata letta come un segnale che alcuni problemi erano stati risolti ma la decisione di incontrare il braccio destro di Netanyahu Ron Dermer in yacht insieme al premier del Qatar anziché recarsi direttamente a Doha indicava che l’accordo non era pronto alla firma e restavano ostacoli.

Un nodo riguarda le aree di Gaza da cui l’esercito israeliano dovrebbe ritirarsi dopo la tregua: Israele avrebbe fatto concessioni su questo, dopo i precedenti incontri tra Witkoff e Dermer. Ai primi di luglio Witkoff gli ha detto che non è possibile che Israele mantenga i soldati ad una profondità di 5 chilometri dal confine; Dermer gli ha risposto che Netanyahu è sotto pressione dalla sua coalizione a non fare grosse concessioni ma alla fine avrebbe presentato una nuova mappa con ritiri più ampi dei militari (fino a 1,5 chilometri e un chilometro in certe aree). Un secondo nodo è il numero di prigionieri palestinesi da rilasciare in cambio degli ostaggi israeliani: i qatarini avevano chiesto a Hamas di non riaprire la questione; quando è stato fatto nell’ultima proposta di martedì scorso gli israeliani si sono infuriati, secondo il sito Axios. Un tema più ampio è l’insistenza di Hamas che l’accordo chiuda definitivamente la guerra, mentre Netanyahu vuole una tregua parziale e temporanea in cambio di metà degli ostaggi che gli consenta di tornare in guerra in seguito. Alcuni speravano che, dopo l’attacco in Iran, Trump avrebbe fatto pressione sull’alleato per negoziare un accordo di pace definitivo, ma il presidente americano ha adottato l’approccio di Netanyahu, cercando di arrivare a una tregua che poi porti a una pace definitiva.

24 luglio 2025