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Davide Frattini
Israele, maxi cortei per gli ostaggi. La Ue: inaccettabili le morti dei reporter
La riunione del consiglio di sicurezza è durata solo un paio d’ore perché Benjamin Netanyahu e altri politici della destra erano attesi a cena, un banchetto organizzato dal leader dei coloni in Cisgiordania. Il tempo stringeva e i ministri non hanno parlato di accordi o tregue, di come riportare a casa i 50 ostaggi ancora tenuti a Gaza, tra loro solo venti in vita, di meno secondo le uscite incontrollate di Donald Trump, il presidente americano.
Il tempo stringe per loro e per i famigliari che li aspettano: ieri hanno riportato in strada oltre 350 mila israeliani, un’altra giornata di blocchi lungo le autostrade, di pneumatici in fiamme, il fumo nero a mozzare il respiro di chi annaspa nell’angoscia da 690 giorni.
Che il primo ministro non abbia fretta di fermare la guerra perpetua lo dichiara Gadi Eisenkot, fino a giugno dell’anno scorso nel governo d’emergenza nazionale, in queste ore in manifestazione come altri padri che hanno perso un figlio nelle battaglie a Gaza. In «piazza degli ostaggi», il quadrilatero di marmo bianco davanti al museo di Arte contemporanea di Tel Aviv, sono esposti i quadri dipinti dai sequestrati rilasciati durante gli unici due cessate il fuoco: l’autoritratto di Liri Elbag, una delle soldate rapite dalla base delle osservatrici al confine con la Striscia, la mostra divisa in due, metà volto in cattività, la parte destra con i sorrisi della libertà. Gli organizzatori chiedono ai partecipanti di lasciare nei contenitori i bigliettini con le richieste, le speranze: lo fanno per tradizione gli ebrei al Muro del Pianto, questa volta le domande si fermano più in basso a livello della coalizione di estrema destra.
La supplica rabbiosa resta la stessa dello slogan urlato nei cortei: «Tutti liberi adesso». «Qualche giorno fa mentre stavo mettendo le gemelle a letto, mi hanno chiesto: “Mamma sei sicura che il papà tornerà a casa?”», racconta Sharon Cunio, il cui marito è ancora prigioniero, lei e le figlie sono potute tornare indietro dopo una cinquantina di giorni. «Perché non posso rispondere che sono sicura? Perché il mio cuore è infranto, perché questo mi insegna l’esperienza». Yael Adar — madre di Tamir Adar , ucciso il 7 ottobre, il cui cadavere è ancora tenuto a Gaza — si rivolge al premier: «Ascolta la nazione». Netanyahu e i suoi ministri continuano invece a considerare i dimostranti come «facilitatori di Hamas», «sinistrorsi disfattisti».
Il migliaio di intellettuali che ha firmato una lettera pubblica per chiedere di fermare «gli orrori a Gaza» è stato messo al bando in alcuni comuni: i sindaci della destra hanno deciso di escluderli dagli eventi pubblici. Tra loro lo scrittore Etgar Keret e la moglie Shira, regista: bloccati da Arad, il villaggio nel deserto del Negev dove ha vissuto Amos Oz fino alla scomparsa nel 2018.
«Un numero sempre maggiore di israeliani sta proclamando: non in mio nome», ha commentato di recente Fania Oz-Salzberger, figlia del romanziere simbolo dell’opposizione pacifista, alla rivista New Republic. Pure ieri in manifestazione, Fania ha sottoscritto l’appello: «Anche i più cocciuti tra i miei concittadini sembrano aprire gli occhi su quello che sta succedendo nella Striscia. È fondamentale che gli amici di Israele all’estero diventino nemici di questo governo».
26 agosto 2025 ( modifica il 26 agosto 2025 | 22:52)
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