di Doriano
Rabotti
Mauro Berruto, ex ct della nazionale italiana di pallavolo, oggi senatore con particolare attenzione al mondo dello sport, è stato uno dei primi a sperimentare con l’intelligenza artificiale nello sport. Ha l’esperienza e le idee chiare per cercare di orientarsi tra le possibili applicazioni dell’IA in questo mondo.
DIFFIDENZA
Con una premessa: “L’IA nello sport si può usare in tantissimi modi, ma è giusto affrontare la questione della diffidenza di chi poi la dovrebbe usare. Io verifico con mio rammarico una certa resistenza su questi strumenti, come se sminuissero l’allenatore togliendogli autonomia”.
ETICA
“Nello sport il dilemma etico che può nascere in altri ambiti di applicazione io non lo vedo. Più di dieci anni fa mi portarono su una pista di test di Quattroruote vicino a Pavia e mi fecero vedere una moto che si guidava da sola. Il punto già allora non era la tecnologia, ma le scelte etiche: come si risolve il dilemma di una macchina che si trova a non poter evitare un impatto e deve scegliere se colpire un anziano o un bambino, un barbone o un manager, dicevano gli esempi immaginari proposti dal sito The Ethical Machine? Perché gli algoritmi che alimentano l’IA vengono comunque costruiti dall’uomo. È un esempio che dà il senso della complessità delle scelte”.
I CAMPI
“Nello sport – continua Berruto – secondo me ci sono temi più semplici, due in particolare: il miglioramento della performance dell’allenamento e la previsione degli infortuni”.
ALLENAMENTO
“Sul piano del miglioramento del gesto tecnico, si può costruire un modello personalizzato per ogni atleta e lavorare sulle caratteristiche specifiche, non solo provare ad insegnare come eseguire la battuta in salto ideale per i manuali. Non ragioni più su un modello di esecuzione tecnica ideale, ma lo fai con un atleta che ha le sue caratteristiche fisiche e tecniche uniche”.
INFORTUNI
“Allo stesso modo, con la mole di dati che i preparatori hanno a disposizione, si può provare una terapia prima sul modello e vedere come reagisce, se funziona. Sugli infortuni per esempio ci sono fattori che possono dare indicazioni certe. Poter evitare infortuni diventa un vantaggio di prestazione, ma anche economico. E magari una società come il mio Torino potrebbe evitare di comprare giocatori che si rompono subito”.
IL TERZO OBIETTIVO
“C’è un altro orizzonte molto affascinante – spiega Berruto – del quale ho esperienza diretta. Nel 2013-2014, di nascosto dal presidente della Federvolley che non credeva nell’uso del computer, in collaborazione con Moxoff, uno spin-off del Politecnico di Milano che lavorava su modelli algoritmici, feci rilevare una serie di dati per arrivare a prevedere le scelte degli avversari in tempo reale. Avevamo chiamato questo prototipo ’il gobbo’, nel senso del suggeritore a teatro. Quando gli avversari attaccavano riuscivamo ad escludere un terzo dello spazio di rete, cosa che aiuta moltissimo il muro. Eravamo arrivati ad una precisione di previsione del 90 per cento, poi sono sorti problemi ancora attuali con l’IA”.
LA PIGRIZIA
“Non potevamo usare lo strumento in tempo reale, nel caos di un palasport. E poi c’era un aspetto umano, perché paradossalmente quei pochissimi errori di scelta pesavano più delle scelte azzeccate, nella percezione degli atleti che si sentivano privati delle proprie capacità di lettura. Abbandonammo il modello e ci inventammo un modo rivoluzionario di preparazione della partita. Ogni atleta il giorno prima aveva una serie di situazioni selezionate su cui doveva fare le sue scelte come in un videogame. E questo aveva capovolto la percezione di depotenziamento individuale, aumentando l’autostima mentre si azzeccavano le decisioni. Anche da quella esperienza alla fine è nato il Virtual Coach del calcio, che usano in Premier League e anche in tantissime società italiane”.
LA DELEGA
Berruto, che cosa ci dice del rischio di perdere il fattore umano che nello sport è fondamentale? “Esiste, affidandosi troppo a scelte fredde si può perdere la capacità di lettura del contesto. Negli sport con la palla questa complessità è maggiore e sviluppa capacità tattiche diverse. Oggi potremmo avere una indicazione istantanea più precisa di quella di mille assistenti tecnici, ma a forza di delegare questa possibilità si può atrofizzare. E sappiamo che le statistiche servono per leggere le scelte dei giocatori scarsi, con quelli più bravi è più difficile”.
EMPATIA?
Usare l’IA fa perdere anche la forza emotiva e l’energia del gruppo? “Non voglio sembrare un boomer, ma questo è un pericolo che vedo già nella società ed è indipendente dall’IA. Un certo tipo di isolamento acustico sensoriale, tutti chiusi nelle loro cuffie, nei loro social, nei loro strumenti, è già presente. Ma è vero anche il contrario: l’IA è uno strumento, se impari ad usarlo bene acquisti fiducia e anche la responsabilità nei confronti dei tuoi compagni”.