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“Il mercato del caffè continua a vivere una vera e propria ’tempesta perfetta’. Il prezzo della materia prima, il caffè verde, si mantiene su una quotazione molto alta, intorno ai 380 centesimi per libra, tre volte la media storica”. Così, in occasione del Meeting di Rimini, Cristina Scocchia, amministratrice delegata di Illycaffè. “Le cause – osserva – sono molteplici: i dazi del 50% imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni brasiliane stanno riducendo l’offerta di caffè sul mercato americano, dove circa un terzo del caffè non tostato proviene dal Brasile. A questo – prosegue – si aggiungono condizioni climatiche sfavorevoli nei Paesi d’origine della materia prima, come ad esempio i danni causati dalla recente gelata nel Cerrado e le preoccupazioni meteorologiche legate alla mancanza di pioggia in Brasile”.
Aumento per la tazzina di caffè al bar
A seguito di questi elementi, sottolinea ancora Scocchia, “il costo medio della tazzina al bar attualmente in forte crescita (+19% rispetto al 2021 e +3,4% rispetto al 2024), presenta grande disparità tra città: Benevento e Bolzano si attestano a circa 1,5 euro, mentre Catanzaro a 1 euro. Si prevede – conclude l’ad di Illycaffè – che il persistente trend rialzista della materia prima possa causare un ulteriore aumento”.
Dazi, Scocchia (Illy): dazi 15% su caffè hanno impatto su marginalità
Unimpresa: da 2020 prezzo tazzina +40%, si avvicina quota 2 euro
Il prezzo medio di una tazzina di caffè espresso al bar in Italia potrebbe raggiungere i 2 euro entro la fine del 2025, con un incremento superiore al 50% rispetto al 2020. L’aumento del prezzo emerge anche da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo cui negli ultimi cinque anni il costo del caffè è salito da 0,87 a oltre 1,30 euro, con punte a 1,43 euro in alcune città del Nord. Alla base dei rincari ci sono i cambiamenti climatici che hanno ridotto i raccolti in Brasile e Vietnam, l’aumento dei costi energetici e logistici, l’inflazione e le nuove normative ambientali Ue. Il mercato italiano resta comunque solido, con consumi annuali pari a 327 milioni di chili di verde e un valore complessivo di 5,2 miliardi di euro, destinato a superare i 6 miliardi entro il 2030. “Per i consumatori italiani la questione non è soltanto economica. Il caffè incide per meno dell’1% sulle spese annuali delle famiglie, ma ha un valore simbolico enorme. Per i produttori e i distributori la sfida è invece difendere i margini, sempre più compressi dai costi, puntando sui segmenti premium e monoporzionati che offrono redditività fino al 60%. Non a caso, diverse aziende stanno sperimentando alternative al caffè tradizionale, dai ceci ai semi di dattero, per rispondere alle sfide climatiche e ridurre la dipendenza dai raccolti tropicali» commenta il direttore generale di Unimpresa, Mariagrazia Lupo Albore. L’impennata del prezzo del caffè è il risultato di una concatenazione di fattori. Alla base vi sono gli effetti sempre più visibili del cambiamento climatico: siccità persistenti in Vietnam e piogge torrenziali in Brasile – Paesi che insieme producono circa metà del caffè mondiale – hanno ridotto i raccolti e destabilizzato l’offerta. Nel 2024 il prezzo dei chicchi grezzi è aumentato fino all’80%, mentre i futures sull’Arabica hanno toccato livelli record, alimentati da fenomeni speculativi. A questi si è aggiunto l’incremento dei costi energetici, con gas ed elettricità che pesano fortemente sulla fase di torrefazione, e quello della logistica internazionale, appesantita dalle congestioni nei porti strategici come Suez e dal raddoppio dei noli marittimi. L’inflazione ha inciso ulteriormente, gonfiando i costi per imballaggi e manodopera, e la speculazione finanziaria ha accentuato la volatilità dei mercati: nel 2024 i futures del Robusta hanno superato i 4.000 dollari a tonnellata, e nell’agosto 2025 l’Arabica ha sfiorato i 360 dollari per libbra, con un rialzo annuo superiore al 40%. Infine, le nuove normative europee contro la deforestazione hanno imposto agli importatori sistemi di tracciabilità e certificazioni che rafforzano la sostenibilità ambientale ma comportano anche costi aggiuntivi soprattutto per i piccoli produttori, trasferiti a cascata sui listini finali. Per Unimpresa ”è la combinazione di tutti questi elementi a rendere plausibile la corsa verso i 2 euro per tazzina entro la fine del 2025”.