Il cliente risponde dell’eventuale frode fiscale compiuta dal commercialista: non è sufficiente, infatti, aver affidato l’incarico al professionista per essere esonerati da una qualsiasi responsabilità. Purtroppo può capitare di imbattersi in un consulente poco corretto. Il comportamento disonesto di un commercialista si trasferisce in automatico sul libero professionista suo cliente, sia quando la situazione si viene a verificare per sua volontà, sia quando viene fatto in modo inconsapevole.

A fare il punto della situazione su questa particolare situazione ci ha pensato la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 13358 del 20 maggio 2025.

Il caso davanti al Tribunale per evasione fiscale

La Corte di Cassazione si è dovuta muovere su una situazione molto precisa, nella quale potrebbero trovarsi molti contribuenti. Cosa succede quando un commercialista incaricato dell’assolvimento di alcuni adempimenti tributari non si fa parte attiva e non fa quanto concordato?

Il cliente deve dimostrare la propria estraneità alla frode fiscale portata avanti dal commercialista, fornendo la prova che ha vigilato puntualmente sulla sua attività e ha controllato il suo operato.

Deve, inoltre, aver vigilato anche sulla condotta fraudolenta che ha portato avanti il commercialista per mascherare il proprio inadempimento.

Il caso, che è finito direttamente sulla scrivania dei giudici della Suprema Corte, ha preso il via a seguito del ricevimento di un avviso di accertamento attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate ha contestato a un ingegnere l’utilizzo di fatture false con cui aveva indebitamente usufruito di una detrazione Iva.

L’operazione era stata effettuata con un intento ben preciso: simulare un credito nei confronti dell’Erario per estinguere, grazie a una compensazione, la propria posizione fiscale.

Il contribuente aveva deciso, quindi, di impugnare l’atto sostenendo che lui si era affidato a un professionista per la gestione degli adempimenti fiscali. La giustificazione non era stata accettata dai giudici che l’avevano respinta al mittente.

Il cliente è responsabile delle inadempienze del commercialista

Ma perché i giudici hanno respinto la giustificazione del contribuente?

Il motivo è molto semplice: non era riuscito a dimostrare in modo evidente la propria estraneità al comportamento fraudolento del commercialista.

Il disegno criminoso portato avanti dal consulente era emerso dalla dichiarazione dei redditi, dalla quale era chiaro che erano state utilizzate delle fatture oggettivamente inesistenti per ottenere una indebita compensazione dell’Iva.

L’intento del commercialista era sufficientemente chiaro: mettere in atto un’azione fraudolenta ai danni dell’Agenzia delle Entrate.

Benché il contribuente si stesse avvalendo della consulenza di un professionista per presentare la dichiarazione dei redditi e per disbrigare i vari obblighi nei confronti degli uffici tributari, avrebbe dovuto vigilare sul suo operato e accertarsi che non stesse adottando una condotta fraudolenta.

Mancando questa prova, il contribuente è a tutti gli effetti chiamato a rispondere degli illeciti del suo commercialista, in concorso con lo stesso.

Non soddisfatto, il contribuente propone ricorso in Cassazione. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con un contro ricorso.

Il contribuente doveva vigilare e denunciare

A questo punto arriviamo alla decisione finale, quella presa dalla Corte di Cassazione: il ricorso presentato dal contribuente è stato rigettato.

I giudici della Suprema Corte hanno dato ragione a quelli di Secondo Grado, secondo i quali quando un contribuente si avvale della consulenza e dell’opera di un professionista per gestire gli adempimenti fiscali deve esercitare un’azione di controllo nei confronti dello stesso.

È stato, inoltre, ribadito che sul contribuente grava l’onere della prova: deve dimostrare la propria assenza di colpa. Se non riesce a farlo è tenuto a rispondere per l’illecito commesso dal commercialista.

Quanto ribadito dalla Corte di Cassazione ricalca la giurisprudenza di legittimità, la quale, in più occasioni, ha ribadito che le sanzioni amministrative tributarie che devono essere applicate in caso di inadempimento al pagamento dei tributi debbano essere imposte solo e soltanto al soggetto terzo nel momento il contribuente lo abbia denunciato alle autorità competenti e, soprattutto, non sia stato un complice nella condotta fraudolenta, anche solo perché non ha vigilato con la dovuta attenzione.

Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta, stando a quanto prevedono le leggi, non sono punibili nel momento in cui riescano a dimostrare che un determinato tributo non è stato versato per un fatto che è stato denunciato alle autorità competenti. E che l’omesso pagamento sia attribuibile esclusivamente a una responsabilità di un terzo.

Non è sufficiente, però, che il contribuente si rechi all’autorità giudiziaria per effettuare le denunce di rito: perché possa essere esonerato completamente da ogni responsabilità deve riuscire a dimostrare che ha assolto l’obbligo di vigilanza sul puntuale e corretto adempimento del mandato da parte del consulente.

Cosa succede quando sono presentate delle dichiarazioni errate

A questo punto la domanda da porsi è cosa accade nel momento in cui dovessero essere presentate delle dichiarazioni fiscali errate o fraudolente che sono attribuibili al commercialista infedele.

A questo punto il contribuente deve farsi parte diligente e fornire la prova di aver vigilato attivamente e controllato in concreto l’operato del professionista.

Deve aver tenuto sotto controllo anche il comportamento fraudolento del professionista, che avrebbe dovuto portare a mascherare il proprio inadempimento rispetto all’incarico ricevuto

È bene sottolineare che il contribuente non assolve ai propri obblighi tributari semplicemente delegando al commercialista il compito di trasmettere la dichiarazione agli uffici competenti dell’Agenzia delle Entrate: deve sempre verificare che il mandato sia adempiuto in modo puntuale e preciso.

La Corte di Cassazione ha quindi confermato il giudizio della commissione Tributaria Regionale attenendosi ai principi che abbiamo appena esposto. Il ricorso presentato dal contribuente è stato rigettato e lo stesso è stato condannato a pagare di quanto richiesto dall’Agenzia delle Entrate a cui si aggiungono le spese del giudizio di legittimità.