Alle Hawaii il turismo non è soltanto la prima voce dell’economia, ma anche una fonte di pressione enorme su spiagge, barriere coralline e risorse naturali. Per questo lo Stato ha scelto di trasformarlo in una forma di responsabilità condivisa: chi visita l’arcipelago non si limita a consumare un’esperienza, ma contribuisce direttamente a preservarla. È il concetto di kuleana nella cultura hawaiana, che significa prendersi cura di ciò che si eredita e trasmetterlo alle generazioni future.
Il 27 maggio 2025 il governatore Josh Green ha firmato la legge Act 96, che aumenta dello 0,75% la Transient Accommodations Tax (Tat), la tassa di soggiorno già in vigore su hotel e affitti brevi, che sarà estesa anche alle crociere.
Siamo assistendo alla nascita della prima green tax degli Stati Uniti destinata ai turisti. Infatti i proventi serviranno a finanziare la resilienza climatica e la tutela ambientale, oltre che a limitare i danni dei devastanti incendi che hanno colpito Maui nell’estate del 2023.
Cos’è la green free per i turisti
Fino al 31 dicembre 2025 la Tat è fissata al 10,25%. Dal 1° gennaio 2026 salirà all’11%. Su una camera da 400 dollari a notte il rincaro equivale a circa 3 dollari in più, per un totale di 44 dollari di tassa di soggiorno.
Solo il nuovo 0,75% aggiuntivo sarà vincolato a progetti ambientali, attraverso il nuovo Climate Health and Environmental Action Special Fund.
Secondo le stime si tratta comunque di circa 100 milioni di dollari all’anno, destinati alla prevenzione degli incendi, al recupero delle spiagge e delle barriere coralline, alla costruzione di infrastrutture resilienti e ak turismo sostenibile.
Un apposito Green Fee Advisory Council, istituito nell’agosto 2025, avrà il compito di selezionare e monitorare i progetti su cui dirottare i proventi dell’overtourism che, almeno stando agli operatori del settore, che non vedono di buon occhio l’aumento della Tat, potrebbe anche essere disincentivato dall’aumento delle spese.
Chi paga la tassa di soggiorno
La Transient Accommodations Tax è sempre a carico degli ospiti. Sono gli hotel, i gestori di affitti brevi o le compagnie di crociera a riscuoterla e riversarla poi allo Stato, in maniera analoga alla tassa di soggiorno italiana.
Si applica sulla tariffa base della camera o dell’immobile presi in affitto, senza soglia minima. Anche una sola notte è soggetta all’imposta. Non ci sono esenzioni per i turisti, salvo alcune deroghe specifiche per usi governativi federali.
Tassate anche le crociere
Dal 1° gennaio 2026 l’aliquota dell’11% si estenderà anche alle crociere che fanno scalo alle Hawaii. Le cabine delle navi saranno considerate a tutti gli effetti accommodation (alloggi in affitto) e quindi soggette alla Tat.
La regola in questo caso è proporzionale al tempo passato nel porto. La tassa si calcola sul valore della cabina in base alle notti trascorse nelle acque hawaiane. Se una crociera dura 7 notti e 3 trascorrono tra scali e navigazione interna, l’imposta si applica a 3/7 del prezzo della cabina.
Secondo Norwegian Cruise Line, questo meccanismo comporterà un aumento medio di circa 350 dollari a persona per un itinerario standard alle Hawaii. Per una famiglia di quattro significa oltre 1.400 dollari in più, che si sommano alle tasse portuali già applicate oggi.
Il rischio è che sempre più viaggiatori scelgano altre mete del Pacifico. E c’è da chiedersi se questo sia davvero un male per le splendide isole statunitensi.
Le Hawaii stanno provando a risolvere la contraddizione di un settore indispensabile per l’economia ma pesante per l’ambiente, limitando almeno l’overtourism.
La green fee serve a trasformare i visitatori in cofinanziatori della resilienza climatica, rendendoli responsabili delle loro scelte e del loro impatto sulla natura dell’arcipelago. E chi decide di non partecipare attivamente alla difesa di un patrimonio naturale unico al mondo, probabilmente, non dovrebbe avere neanche il privilegio di vederlo dal vivo. Come insegna il kuleana.