L’immigrazione è sempre di più la spada di Damocle che pende sulla testa del governo inglese. La tensione è alle stelle e insieme alle proteste partono anche le azioni legali. Conservatori e Reform UK, il partito di Nigel Farage, hanno presentato ricorsi contro la decisione di sistemare i richiedenti asilo negli alberghi e l’Alta Corte non si è fatta attendere: lo scorso martedì una sentenza dei giudici si è espressa a favore del Consiglio comunale di Epping, nell’Essex, che aveva deciso di disobbedire alle direttive governative e sbarrare le porte di un hotel scelto per ospitare gli immigrati. Azioni legali simili sono partite in tutto il Paese e, se venissero accolte, come è probabile, questo rappresenterebbe un serio problema politico per Starmer.

Intanto i disordini si moltiplicano, da nord a sud, con scontri tra le forze dell’ordine, semplici cittadini e, in più di un caso anche con attivisti di estrema destra che soffiano sul fuoco. Il premier ha reagito con il pugno di ferro, ordinando la repressione e l’arresto dei manifestanti. Ma la fermezza contribuisce a esacerbare ancora di più gli animi e ad offrire la sponda alle opposizioni che adesso hanno campo facile nell’accusare i laburisti di inefficienza. Che la Gran Bretagna sia uno dei porti preferiti per l’immigrazione non è certo una novità. Come tutte le ex potenze coloniali il flusso di stranieri in arrivo è una “tradizione” che negli anni ha anche contribuito alla rinascita economica del Paese. La stessa leader dei Tory, Kemi Badenoch ne è un esempio felice: nera, cresciuta in Nigeria, è arrivata per merito e con impegno fino ai vertici del suo partito oltre ad aver ricoperto cariche importanti nei precedenti governi a guida conservatrice.

Ma perché allora, proprio oggi, l’immigrazione torna ad essere il problema al centro delle tensioni sociali d’oltremanica? È utile, a questo proposito, leggere l’ultimo rapporto del Center for Social Justice, un think tank indipendente che si occupa di temi sociali, pubblicato in questi giorni dal quotidiano Telegraph. Lo studio punta il dito dritto su una questione sollevata anche dall’attuale ministro dell’Istruzione Bridget Phillipson che, senza troppe remore, ha dichiarato che le istituzioni non riescono più a garantire il successo dei bambini bianchi della classe operaia. Ma non solo. La questione si aggrava ancora di più se si prende in considerazione la situazione degli adolescenti, i famosi Neet. I numeri sono impietosi: lo studio rivela che ad oggi sono quasi 950mila i giovani in tutto il Paese che non studiano, non lavorano e, soprattutto non seguono alcun corso di formazione che possa aprire loro le porte del mondo del lavoro.

Gran parte di questi appartengono proprio a quei ceti medio bassi bianchi che oggi si sentono tagliati fuori da ogni prospettiva per il futuro e abbandonati dalla politica. Ad aggravare la frustrazione, c’è il fatto che mentre i giovani britannici vengono gradualmente estromessi dal mercato del lavoro, il numero dei loro coetanei immigrati che riescono a inserirsi, anche grazie alle misure governative, è quadruplicato in pochi anni. È vero che si tratta di manodopera per lo più sottopagata che accetta salari più bassi e non qualificati pur di lavorare. Con la conseguenza che il livello medio degli impieghi si livella verso il basso sia in termini di qualità che di remunerazione. Il risultato è una guerra tra poveri, di fronte alla quale l’attuale governo sembra avere poche idee e ben confuse.

Stefano Bettera