di
Mara Gergolet
L’inaugurazione con il segretario dell’Alleanza Atlantica, è la più grande fabbrica di munizioni in Europa. A regime, nel 2027, produrrà 350mila proiettili d’artiglieria all’anno
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
BERLINO – Il miracolo è che ci abbiamo messo quattordici mesi. Di questi tempi, in Germania nessuno ci avrebbe scommesso un euro. Neanche i dipendenti e gli ingegneri: quando gli è stato detto che il governo tedesco avrebbe investito e che occorreva tirare su una fabbrica di munizioni il più in fretta possibile, hanno chiesto almeno tre anni. Invece no. E allora, in questa attesa inaugurazione — dove la lista degli invitati speciali è rimasta «coperta» fino al mattino — ecco fare il loro ingresso in sala un corteo di potentissimi. Il boss della Rheinmetall, Armin Papperger – il più importante produttore d’armi d’Europa, il nemico giurato di Putin; il vicecancelliere tedesco, Lars Klingbeil, il ministro della Difesa Boris Pistorius, il segretario generale della Nato Mark Rutte. E dietro altri dignitari, dal presidente bulgaro Rumen Radev al premier rumeno Ilie Bolojan, poi ambasciatori, generali, autorità. Quasi tutti uomini, tutti venuti a vedere questo gioiellino, questo segno dei tempi e del ritorno della Germania, la sua Zeitenwende, svolta epocale. Si inaugura la più grande fabbrica di munizioni in Europa. A regime, nel 2027, produrrà 350mila proiettili d’artiglieria all’anno.
Bisogna spingersi nel nord, nella Lüneburger Heide, per arrivare in uno dei feudi di Rheinmetal. Unterlüss conta 3.800 anime, un paesone disposto attorno alla provinciale. D’intorno boschi, anche quelli di proprietà di Rheinmetal, che qui ha creato il più grande poligono di tiro e di test privati in Europa. Questa brughiera, sabbia e terra brulla coperta d’erice, è da 120 anni uno dei centri dell’industria militare tedesca. E qui Berlino torna a investire e a costruire. Trecento metri separano lo SHELL dal LAP: nel primo impianto si costruiscono i proiettili da 155 millimetri, lo standard Nato, nel secondo si assemblano e preparano le spedizioni. Insieme, sono grandi come cinque campi di calcio.
«C’è un padre di questa storia — dice Papperger, che a quasi tutti dà del tu —, e lo voglio ringraziare: Boris Pistorius». E il ministro socialdemocratico, tuttora il più popolare del Paese, che ha reso digeribile ai tedeschi — e prima ancora comprensibile, sensata – l’idea che occorreva ripensare la propria difesa e la sicurezza, perché il tempo della pace era finito con l’invasione russa dell’Ucraina, e poi con il voltafaccia americano di Trump. Pistorius del suo progetto fa la solita sintesi efficace: «Occorre che la Nato diventi più europea, perché possa restare transatlantica».
Un aneddoto mai smentito, su com’era messa la Germania, dice che all’inizio della guerra in Ucraina il ministro della Difesa volesse sapere quante munizioni ci fossero nei magazzini. Gli risposero: per una settimana. Fu una presa di coscienza. Fatto sta che oggi — anche grazie agli stabilimenti di Rheinmetal nel mondo — l’Europa costruisce 2 milioni di munizioni l’anno. Ma manca tutto il resto, servirebbe questa progressione su quasi ogni singola voce di spesa militare, a partire dalla difesa aerea. Però almeno la Germania ha mostrato di essere ancora una potenza industriale.
Nell’androne d’ingresso servono mini-hamburger, insalate in vaso, salmone su letto di finocchi, come a un ricevimento in ambasciata. Mentre dietro, esposti come in una galleria d’arte, stanno un Lince con bandiera italiana, i Horowitz, i Puma, i Leopard 2, panzer di cui si può leggere tutto inquadrando il QR code: i gioielli della corona, con tanta potenza di morte quanta ne dovrebbero impedire. Ma armarsi per non soccombere è il nuovo civico credo tedesco. «Mai abbiamo avuto così tanti giornalisti» si congratula con se stesso Papperger.
E in questa babele di lingue, dall’ucraino al bulgaro, infine un osservatore irlandese coglie un punto, il perché di un leggero spaesamento tra chi non è del mestiere. I tedeschi, dice, queste armi le hanno sempre fatte, ma erano al chiuso, come nascoste nel retrobottega della gioielleria per i clienti migliori: ora le esibiscono nelle vetrine, ed è questa la differenza con la Germania che conoscevamo.
Tocca a Lars Klingbeil, il vicecancelliere, l’analisi politica. Osserva che la svolta è arrivata in tre fasi; prima con il fondo speciale di Scholz nel 2022; poi togliendo i limiti costituzionali all’indebitamento per il riarmo (l’era Merz); infine, nell’impegno di arrivare al 3,5 % del Pil per la spesa militare nel 2029: sono 154 miliardi, il doppio rispetto ad otto anni prima. E se la traiettoria del Paese — diventare un pilastro della Difesa Ue — è chiara, condivisa ai vertici, è altrettanto ovvio che ampie fasce della popolazione vanno ancora convinte. Non si trovano neppure i soldati, e infatti si sta riformando la legge sulla leva pensano di renderla obbligatoria. In democrazia, bisogna conquistare i cuori. E a sinistra, proprio nella Spd di Klingbeil e Pistorius, sono tanti gli scettici, i critici, gli impauriti. «Dobbiamo avere successo – dice il vicecancelliere Klingbeil, pensando ai suoi — proprio perché nessun bambino tedesco debba mai andare in guerra».
28 agosto 2025
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