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La Cassazione torna sul tema dell’omessa diagnosi prenatale, precisando i criteri per individuare la responsabilità del medico e chiarendo che il risarcimento non riguarda solo la nascita indesiderata, ma si estendono anche a quelli connessi alla perdita della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale nascita, purché vi sia stata allegazione e prova, anche presuntiva (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 4 agosto 2025, n. 22578).

I fatti

I genitori di un bambino con labiopalatoschisi bilaterale hanno citato in giudizio due medici e due strutture sanitarie per omessa diagnosi prenatale. Il Tribunale, con sentenza parziale, accoglie la domanda, statuendo condanna solidale dei due medici e delle due strutture ed esclude ogni accertamento sulla graduazione delle colpe per difetto di domanda di regresso.

La Corte di appello ha parzialmente riformato, ritenendo che la prima ecografista non potesse visualizzare il volto del feto e che la responsabilità fosse ascrivibile solo al secondo medico.

La Corte di appello – davanti alla quale il processo era stato interrotto sia per l’intervenuto decesso della dottoressa V. sia per il sopravvenuto fallimento della Casa di cura – riforma parzialmente il primo grado. Secondo i giudici, la dott.ssa V. non aveva potuto visualizzare il volto del feto durante la prima ecografia, refertando nei termini di “esame limitato per posizione dorso anteriore del feto. Si consiglia controllo tra 10 giorni (per esame cuore)”, e che la rinnovazione dell’esame era avvenuta a cura del dottor P., il quale aveva effettuato la seconda ecografia dopo 13 giorni, ancora nella 22ma settimana ai fini di un possibile aborto terapeutico.
La dott.ssa V. doveva pertanto essere assolta da ogni responsabilità al pari della struttura sanitaria e che la sua compagnia di assicurazione non fosse obbligata a tenerla indenne né tantomeno, a rifondere direttamente ai genitori quanto disposto nella sentenza impugnata in quella sede.

L’intervento della Corte di Cassazione

I genitori del bambino lamentano che il Tribunale di Ascoli Piceno aveva escluso la risultanza di circostanze utili alla “ulteriore personalizzazione” del danno del bambino affermando come non provato che la gravidanza, ovvero il parto, avrebbero comportato un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna (ai fini dell’aborto consentito), essendo emerso solo un disturbo psicologico di media entità, posta altresì la possibilità di trattamento morfologico, funzionale e rieducativo della malformazione.

Inoltre prospettano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176, c.c., poiché il secondo grado non avrebbe considerato che la dottoressa V. aveva consigliato il rinnovo della ecografia solo limitatamente alle condizioni del cuore, venendo meno alla sua obbligazione di debitrice qualificata che le imponeva d’informare la paziente riguardo ai limiti dell’esame strumentale svolto e alla conseguente necessità di ricorrere, in ipotesi, a un centro di più elevato livello di specializzazione per completarlo; ergo il primo esame ecografico sarebbe stato incompleto, con condotta rilevante sul piano causale correttamente inteso nel senso probabilistico proprio della responsabilità civile.

Quindi la Corte di appello avrebbe errato nel dare atto che la responsabilità era ascrivibile solo al dottor P. (che eseguì la seconda ecografia) e dunque alla Casa di Cura poi fallita.

Le motivazioni della Corte di Appello

Le censure non sono accoglibili perché non si misurano con le motivazioni dei Giudici di secondo grado secondo cui:

  • a) la dottoressa V. non aveva terminato gli esami strumentali ecografici con affermazione di compiuta esclusione di anomalie, refertando invece, specificatamente, che quello svolto non era completo, con conseguente indicazione nel senso di un nuovo esame dopo 10 giorni.
  • b) i genitori della piccola vittima avevano compreso tale necessità, al punto di effettuare l’esame, sia pure dopo 13 giorni, una volta verificata l’assenza dell’ecografista dott.ssa V.
  • c) seppure l’indicazione del referto della dott.ssa V. era quella del rinnovo dell’esame “per esame cuore”, dal complesso dell’annotazione medesima emergeva che si trattava di eseguire un complessivo rinnovo, posta la limitatezza del primo esame.
  • d) il successivo e secondo esame era stato svolto dal dottor P. nei termini per l’interruzione della gravidanza ai sensi dell’art. 6, Legge n. 194 del 1978, sia pure a ridosso degli stessi, senza le necessarie individuazioni della malformazione, invece possibili secondo la ricostruzione peritale, stante l’indicazione delle linee guida nel senso della necessità di verifica delle orbite e, quindi, del volto.

Sopravvenuta condotta colposa del dottor P.

Detto in altri termini, la Corte di secondo grado ha ritenuto assorbente, sul piano causale, la sopravvenuta condotta colposa del dottor P., non rilevando l’assenza della dott.ssa V presso l’ospedale pubblico allo scadere dei 10 giorni, al di là della necessità o meno del previo appuntamento, peraltro dai ricorrenti indicato come affermato in citazione e non altrimenti e diversamente indicato come oggetto di dimostrazione. Questo significa che non vi sono affatto gli errori di giudizio ipotizzati dai genitori della vittima.

La Suprema Corte, in caso di omessa diagnosi prenatale di malformazione del feto, ha chiarito negli ultimi anni che i danni risarcibili in conseguenza della lesione del diritto all’autodeterminazione della gestante non si limitano a quelli correlati alla nascita indesiderata, ma si estendono anche a quelli connessi alla perdita della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente tale nascita, purché vi sia stata allegazione e prova, anche presuntiva.

La Cassazione rigetta il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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