Pau AlborghettiLo schianto fatale di Mario Alborghetti al GP di Pau del 1955

11 aprile 1955, circuito cittadino di Pau, quasi tre chilometri di pista tortuosi e difficili. Qui la Formula 1 scrive una pagina drammatica che pochi conoscono.

Infatti, una tragedia investe il Gran Premio e colpisce il giovane debuttante Mario Alborghetti.

Il tutto mentre il pilota francese Jean Behra conquista una delle sue numerose vittorie su una monoposto di Formula 1 – ben dieci, peraltro tutte ottenute in gare non valide per il campionato mondiale – al volante di una Maserati 250F.

Il Gran Premio di Pau

Pau è una cittadina al confine con la Spagna, a ridosso dei Pirenei.

La gara che si corre nelle sue vie rappresenta negli anni Cinquanta una delle gare extra-campionato più prestigiose del calendario internazionale.

Nel 1955 la competizione si preannuncia particolarmente aperta e combattuta (pur con l’assenza della scuderia ufficiale Ferrari) in quanto corrono sia le favorite Maserati e Lancia, sia un paio di comprimari francesi, le Simca Gordini e le Deutsch-Bonnet.

Anche la lista dei piloti partecipanti è di tutto rispetto: oltre a Jean Behra – pilota di punta della Maserati che arriva a Pau con la determinazione di chi sa di avere tra le mani una monoposto competitiva – sono iscritti driver come Ascari, Castellotti, Villoresi, Musso, Rosier, de Portago, Mieres…

Il circuito cittadino francese, caratterizzato da curve impegnative e corti rettilinei, richiede ai piloti una precisione assoluta e senza compromessi. Ma la Maserati 250F si è già dimostrata una vettura vincente e Behra possiede l’esperienza e l’abilità per sfruttarne appieno le potenzialità.

Fuoriclasse mancati e pionieri dimenticati

A questa gara non partecipano solo fuoriclasse, ci sono anche piloti che sognano la gloria ma che partecipano solo a un pugno di gare senza riuscire a mettersi in mostra.

È il caso di “gente” come Jean Lucas, Jacques Pollet, Claude Storez ed Élie Bayol che poche volte salgono a bordo di una monoposto di Formula 1, e lo fanno senza incidere troppo.

Pau AlborghettiIl circuito di Pau

È anche il caso di Mario Alborghetti, nato a Milano il 23 ottobre 1928, che rappresenta l’archetipo del gentleman driver degli anni Cinquanta.

Ricco giovane proveniente da una famiglia di industriali milanesi, Mario ha deciso di investire parte della sua fortuna personale nel sogno della Formula 1, commissionando al designer Gianpaolo Volpini e all’ingegnere Egidio Arzani la costruzione di una monoposto da Grand Prix.

Il progetto Volpini-Arzani si basa su una Maserati 4CLT comprata dalla Scuderia Milano, ed equipaggiata con un motore Speluzzi. La monoposto viene revisionata, modificata con una nuova carrozzeria e dotata di un motore conforme ai regolamenti di Formula Uno allora in vigore.

Il sogno spezzato di un gentleman driver

Alborghetti ha partecipato solamente a quattro gare in categorie minori prima di decidere di fare il grande salto nella Formula 1.

Si iscrive al Gran Premio del Valentino che si corre a Torino il 27 marzo 1955, ma la monoposto progettata da Volpini e Arzani non è ancora pronta e il giovane non partecipa al GP.

La gara torinese viene vinta da Ascari su Lancia, in quella che sarà una delle ultime competizioni disputate dal pilota milanese, che avrebbe ancora vinto a Napoli l’8 maggio e si sarebbe ritirato al GP di Monaco.

Dopo la delusione per la mancata partecipazione al Valentino, Alborghetti a 26 anni vede nella gara di Pau l’opportunità per dimostrare il suo valore sulla scena internazionale.

In prova incide poco, a causa della sua inesperienza e della scarsa competitività della vettura, segnando il quindicesimo tempo su 16 concorrenti, con un crono di ben 19 secondi più lento rispetto alla pole position.

Pau AlborghettiUn’altra inquadratura del drammatico incidente del pilota italiano

L’unico a qualificarsi peggio è il parigino Claude Storez, di un anno più anziano di Alborghetti, anche lui al debutto in quella che resterà l’unica sua gara in Formula 1. Morirà a 31 anni il 7 febbraio 1959 partecipando a una gara di rally.

La superiorità di Lancia e Maserati in gara

Il Gran Premio si disputa su un totale di 110 giri per oltre 3 ore di sorpassi, spettacolo e tensione crescente.

Alberto Ascari parte dalla pole position al volante della sua Lancia D50, con la quale un mese e mezzo dopo (il 22 maggio) sarebbe finito in acqua durante il GP di Monaco, solo 4 giorni prima di morire durante delle prove private a Monza, sulla Ferrari prestatagli dall’amico Castellotti.

Ma il ruolo di Ascari nella gara di Pau è destinato a essere di poco peso (arriverà quinto a un giro) ed è invece Jean Behra che riesce a imporsi dopo 90 giri alle spalle dell’italiano costretto a una lunga sosta ai box per una perdita di liquido dei freni.

Behra bisserà il successo due settimane dopo, il 24 aprile, sul circuito di Bordeaux, anche in questo caso una gara non valida per il campionato, mentre in competizioni ufficiale non ottiene mai nessun successo.

Un impatto tragico

La tragedia si consuma durante il ventesimo giro della gara.

Mario Alborghetti – alla guida della sua Maserati 4CLT/48 e già doppiato di un giro – perde il controllo della vettura in uno dei tratti più insidiosi del tracciato.

Dopo tre pit-stop, è molto indietro rispetto alla maggior parte dei concorrenti, e bada a guardare più gli specchietti che la pista, ma si distrae al tornante per l’avvicinarsi della Simca Gordini di Jacques Pollet, pronto a doppiarlo.

A quel punto Alborghetti sembra abbia premuto per sbaglio il pedale dell’acceleratore anziché quello del freno, finendo così fuori pista.

L’impatto contro le balle di paglia e le transenne di protezione è devastante.

Il pilota milanese riporta fratture alle vertebre cervicali e ferite fatali al torace e alla testa. L’urto è così violento da spaccare il casco e, dopo l’inutile intervento dei medici, Alborghetti spira quasi subito.

Il protocollo del silenzio

Il fatto più agghiacciante della giornata è la decisione degli organizzatori di non annunciare la morte di Alborghetti fino al termine della gara.

I piloti continuano a correre senza sapere nulla e Jean Behra conquista la vittoria ed esulta sul podio senza sapere della morte del collega.

Questo comportamento era frequente negli anni Cinquanta e lo sarebbe stato ancora per un paio di decenni, riflettendo la mentalità di un’epoca in cui lo spettacolo deve continuare nonostante tutto.

Nell’incidente di Alborghetti rimangono feriti anche undici spettatori, due dei quali in modo grave, a dimostrazione delle carenze in termini di sicurezza dei circuiti dell’epoca.

E questa mancanza di sicurezza viene ribadita due mesi dopo, l’11 giugno, con la tragedia alla 24 ore di Le Mans che causa 84 morti e 120 feriti: l’incidente più grave nella storia dell’automobilismo sportivo.

L’eredità tecnica e umana

La morte di Mario Alborghetti rappresenta la fine prematura di un progetto abbastanza ambizioso.

Il sogno di un gentleman driver di affermarsi nella Formula 1 si spegne così insieme con la sua vita.

La Volpini-Arzani avrebbe dovuto partecipare al Gran Premio d’Italia 1955 – che si correrà esattamente 5 mesi dopo, l’11 settembre – affidata a un altro milanese, il pilota Luigi Piotti.

Viene iscritta ma non si schiera al via, il programma viene cancellato per sempre e la vettura scompare nel nulla.

Per Jean Behra, la vittoria di Pau rappresenta uno dei momenti più alti della sua carriera, anche se il pilota nizzardo ricorderà sempre con amarezza le circostanze che hanno accompagnato quel successo.

Behra morirà tragicamente quattro anni dopo, il 1° agosto 1959, durante una gara sull’Avus di Berlino, vittima anche lui delle precarie condizioni di sicurezza dell’epoca.

Lezioni dal passato

Il Gran Premio di Pau del 1955 rimane quindi nella storia dell’automobilismo per un fatto tragico dimenticato da quasi tutti.

È l’esempio perfetto di come trionfo e tragedia si sono spesso (troppe volte) intrecciati nel mondo delle corse.

Oggi, quando vediamo i piloti di Formula 1 uscire illesi da incidenti che settant’anni fa sarebbero stati fatali, dovremmo sempre ricordare chi – come Alborghetti, Behra, Ascari, Storez e molti, troppi altri – ha pagato con la vita l’amore per la velocità e per la competizione.

Le loro storie non sono solo tragica cronaca sportiva, ma lezioni di sport che devono spingere tecnici, progettisti e organizzatori di gare verso un futuro costantemente più sicuro nel rispetto di chi ha la passione e il coraggio per sfidare i propri limiti e quelli di un’auto da corsa.

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