di
Paola De Carolis
L’istituto dell’ex premier fa consulenze. Anche sul futuro della Striscia
È stato un’icona della sinistra globale, e ora dà consigli a Donald Trump. Negli anni Novanta, Tony Blair era il simbolo della Cool Britannia, un primo ministro, giovane e progressista, che, dopo 11 anni di governo conservatore, aveva traghettato il Regno Unito nell’era della globalizzazione, della rinascita della cultura pop e, non ultimo, della pace in Irlanda del Nord, con gli accordi del 1998. Certo, la sua reputazione si era quanto meno incrinata con la partecipazione alla guerra in Iraq, insieme agli americani, nel 2003, una scelta impopolare. Eppure il capitolo più recente della sua vita ha sorpreso, in negativo, molti: l’ex premier britannico sta fornendo agli americani una consulenza per la gestione del «day after» a Gaza. E, almeno stando a quanto dichiarato finora da Trump, il piano potrebbe prevedere un trasferimento della popolazione civile.
Oggi Blair — che ha lasciato Downing Street nel 2007 e che, dopo, per otto anni era stato rappresentante nel Medio Oriente del cosiddetto «Quartetto» , ovvero Onu, Usa, Ue e Russia —gestisce un’attività di consulenza. «Trasformare idee coraggiose in realtà» è il motto del Tony Blair Institute for Global Change, noto anche con l’acronimo TBI. In nove anni di attività, è arrivato a collaborare con più di 40 governi. Un migliaio di dipendenti, un presidente esecutivo, Blair, che non prende un penny e quattro direttori che percepiscono collettivamente 2 milioni di dollari: è una società senza fini di lucro. L’ultimo bilancio indica introiti di circa 150 milioni di dollari e una grande espansione, con costi operativi di 152 milioni di dollari.
La presenza di Blair all’incontro alla Casa Bianca sul futuro di Gaza fa alzare più di un sopracciglio, ma non è la prima volta che l’istituto fa discutere. Il TBI si occupa di temi disparati, dai cambiamenti climatici, all’intelligenza artificiale, ai farmaci per la perdita di peso, ed è sopratutto il suo operato nella sfera globale ad alimentare i dissensi: «Ci sono governi e organizzazioni con i quali abbiamo deciso di non collaborare», aveva spiegato l’ex premier in un’intervista al Financial Times, senza farne i nomi. Però in genere, se l’obiettivo è trovare soluzioni a problemi globali, ogni ingaggio è buono.
Ecco allora le criticate consulenze per Mohammed bin Salman, leader de facto dell’Arabia Saudita, nonostante il presunto ruolo nell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, e la stretta collaborazione con gli Emirati arabi e l’Azerbaijan, che nel 2023 e 2024 hanno ospitato — con Tony Blair in prima fila — le conferenze del clima (COP 28 e 29). Per non parlare dei legami con Ilham Aliyev, il presidente azero accusato di pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh.
Poi ci sono i rapporti con il Bahrein, nonché una schiera di finanziamenti discussi che hanno arricchito le operazioni dell’istituto, come quello, di circa 250 milioni di dollari, della fondazione di Larry Ellison, il miliardario fondatore di Oracle, che ha finanziato la campagna elettorale di Donald Trump.
Il TBI, che tra i suoi consiglieri strategici conta Sanna Marin, ex premier finlandese, l’ex capo di Stato Maggiore britannico Sir Nick Carter e l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, per ora non ha rilasciato commenti sul’incontro di Washington. Già il mese scorso era emerso che alcuni suoi esponenti erano coinvolti in un progetto, realizzato dal Boston Consulting Group, che immaginava la trasformazione della Striscia in una «Gaza Riviera».
Il piano, trasmesso all’amministrazione Trump, prevedeva diverse isole artificiali sull’esempio di Dubai, e la costruzione di un porto. Allora l’Istituto aveva sottolineato che «l’obiettivo è sempre quello di creare un paese migliore per i gazawi» e che né l’ex premier, né il suo pensatoio hanno mai accettato o avvallato l’ipotesi dello spostamento forzato della popolazione. Quando si cercano soluzioni, aveva sottolineato un portavoce, «è sempre meglio essere presenti al tavolo dei negoziati, anche solo per ascoltare».
28 agosto 2025
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