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Capiamoci: non c’è niente di male a esibirsi nelle sagre di paese, tutt’altro. Sono una delle poche certezze dell’estate italiana dal dopoguerra a oggi, ogni città o cittadina, tra giugno e agosto, ne ha una, offrono intrattenimento a costo zero – per gli spettatori – e spesso senza troppe pretese, per cui ben vengano. Non ditelo ai cantanti, però, per i quali è opinione diffusa che non siano granché come location: esibirsi nelle piazze o nei parcheggi, davanti a un pubblico che non ha pagato – e quindi, s’intende, è mediamente più disinteressato di quello pagante – con sullo sfondo il chiosco della porchetta non è il massimo, e infatti da sempre spettano al ceto più basso degli artisti, con cachet alla portata e voglia di sporcarsi le mani. Vuoi mettere, ecco, esibirsi in uno stadio sold out? Tanto più, viene da dire, oggi, che tutti provano a prendersi San Siro o l’Olimpico di Roma. E invece.

Una nuova economia

E invece l’estate 2025 è stata quella delle sagre, o meglio dei grandi nomi nelle piccole sagre – che così sono diventate grandi a loro volta. Tra le tante, ha colpito l’esibizione di Fedez alla Festa dello Stocco (lo stoccafisso), a Cittanova, 9mila abitanti in Calabria, per la quale pare avesse concordato un cachet da 100mila euro. Cifra che il promoter, legato all’azienda Stocco & Stocco, che organizza il tutto, ha detto essere in realtà ridotta (non si sa di quanto) e riguardante anche l’allestimento e il resto, non solo Fedez in sé. Tant’è: è vero che oggi i compensi degli artisti di quel livello, cioè alto (Fedez ha in programma due al Forum di Assago a settembre, a un certo punto sembrava in ballo per San Siro), sono quelli, resta il fatto che passare dalle sagre al Forum nel giro di qualche mese è un fatto, comunque, nuovo. E non è il solo: hanno fatto discutere gli oltre 45mila euro riservati a Clara – anche qui, “tutto l’allestimento” – e alle sue “quattro canzoni su una base” in provincia di Teramo, lo scorso 8 agosto, mentre basta farsi un giro per vedere quante fiere e affini abbiano cartelloni di prima fascia (in queste settimane a Rieti c’è un programma di tutto rispetto, gratis e brandizzato Fiera del Peperoncino). E sono solo dei nomi tra tanti. Dietro, si muove una fortuna.

Il motivo di questa inversione di tendenza, si capisce, è semplice: gli organizzatori hanno messo sul piatto delle cifre evidentemente appetibili, molto più alte che in passato, su cui i cantanti si sono fiondati. Il contesto, del resto, racconta questo: i dischi fisici non si vendono più, con lo streaming si guadagna poco e tanti hanno accresciuto i propri cachet, come unica via d’uscita. Il punto è che però la gente non è pronta: il pregiudizio sulle sagre resta e come per l’attività da influencer – un’altra su cui gli artisti, grazia alla popolarità sui social, si sono buttati a capofitto – il rischio è di passare o come avidi o come disperati.

Le ospitate che gli artisti “nascondono”

Nel dubbio, meglio tacere. C’è puzza di bruciato, ma è tutto vero: tante di queste ospitate – Fedez su tutti – non sono annunciate sui profili ufficiali degli artisti in questione, né incluse nei loro tour, tanto che per trovarle bisogna affidarsi a comunicazione e promoter locali. I protagonisti, ecco, si guardano bene dal promuoverle. Anche perché spesso non sono neanche concerti veri e propri: sono appena una manciata di brani, a volte perfino in playback, senza l’allestimento (di nuovo, eccolo) tipico di una data del tour per la quale si pagherebbe un biglietto. Di chi è la colpa? Di nessuno: alla sagra di turno fa comodo avere il nome di grido ed è disposta a spendere per qualsiasi cosa, il nome di grido non vuole che la cosa esca, però con il minimo sforzo si prende il massimo risultato, per cui eccoci, ne approfitta. Non fosse che così la musica muore, se non altro perché spesso non si parla di veri live.

Oltre le sagre: il mondo della “grattata”

Per carità, queste scene sono sempre esistite, ci sono star planetarie che si sono prestate a eventi privati organizzati da sceicchi o affini per cifre ben più alti. Ma era più circoscritto. Già negli anni scorsi – ora la moda sembra essersi un po’ placata – in Italia invece si erano viste feste di Natale aziendali con ospiti incredibili, da Elodie ai Pinguini Tattici Nucleari e a Mahmood, tutti ricoperti di soldi, di più rispetto a quanti ne avrebbero ricevuti per un loro concerto, mettiamo, in un palasport. Nessuno di loro verosimilmente muore dalla voglia di suonare al ricevimento di una multinazionale o alla sagra qualsiasi, non fa neanche curriculum, ma la cifra è troppo invitante, per cui nel silenzio tanto vale accettare. Non è gratificante, ma è la tipica “grattata”, per usare un termine caro ai rapper.

Che in questo, va detto, sono maestri. Le sagre come passerelle – non tutte, s’intende, c’è anche chi suona dal vivo e fa concerti veri e propri, lì – sono la trasposizione estiva di ciò che d’inverno avviene più spesso nelle discoteche, dove artisti hip hop, specie se giovanissimi, si prestano a brevi “dj-set”: non sono live veri e propri, neanche qui, ma ospitate spesso in playback che durano meno di un’ora, portano in casse cachet da decine di migliaia di euro, saluti e baci, un selfie e via. Quello che, insomma, vent’anni fa facevano Fabrizio Corona e soci, tronisti e vincitori del Grande Fratello, è passato ai cantanti, rapper e non solo. Ma anche qui – di nuovo, la puzza di bruciato – guai a parlarne sui profili. E ne hanno ben donde: la musica è un’altra cosa, guai se venisse fuori che per permettersi un certo stile di vita le canzoni, saper tenere il palco e il resto di sorta, be’, non bastano. Almeno, lo dicessero apertamente.