VIF. Tadej Pogačar, crediti A.S.O. Billy Ceusters
Rubo a mani basse il titolo di uno dei libri più divertenti che abbia letto, ovvero Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace sulla sua esperienza in crociera, per raccontarvi la mia prima volta (l’ultima?) alla partenza di una tappa del Tour de France.
Ieri infatti ho avuto il privilegio di essere tra le centinaia (migliaia) di francesi invasati che a Vif, graziosa località nel dipartimento dell’Isère della regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi. Per capirci, sotto a Chambery, al di là del confine un’oretta di strada dopo il tunnel del Frejus.
Quando arrivi in una località di partenza del Tour tutta la città si tinge di giallo, tutto è a tema Tour, tutto risuona di incoraggiamenti, brindisi e cori. Il pubblico si assiepa lungo le transenne mentre i pullman delle squadre con le auto si accodano per entrare nei paddock. La fila dei veicoli in paziente attesa di individuare la propria postazione sembra infinita. Un po’ come la coda al casello al rientro di un Ponte.
Per la gestione della mattinata sono coinvolte centinaia di persone, tra polizia, gendarmeria, volontari, vigili del fuoco e staff del Tour. Un’organizzazione che gira ben rodata, impeccabile, conosciuta e amata dal pubblico. Che si muove come un orologio svizzero.
Cose fantastiche e dove trovarle
La carovana dei bus e delle auto delle squadre deve anche fermarsi per attendere il passaggio della Caravanes Publicitaire. Si tratta di una tradizione nata nel 1930, pensata inizialmente per finanziare la gara e attirare l’attenzione degli spettatori lungo il percorso. La carovana può durare oltre un’ora e rappresenta uno degli elementi più spettacolari e attesi dell’intero evento. E posso confermarlo.
Schiacciata tra bambini entusiasti, adolescenti muniti di boites (scatole) o retini da pesca mi sono ritrovata ad assistere ad un assurdo carnevale di sponsor che lanciano gadget. E intendo proprio un carnevale, fatto di carri motorizzati, personaggi in costume, musica a manetta, dj e vocalist. Tra le cose lanciate: volantini, cappellini, bandane, bustine di gel per i dolori (ammetto, su questo mi sono lanciata!), penne, caramelle, mini-bottiglie d’olio e…dulcis in fundo – pastiglie per lavare i panni e i piatti. E quando dico “lanciate” intendo proprio scaraventate contro la gente quasi felice di farsi venire un bernoccolo con l’oggetto di turno.
La sfilata dei carri come anticipavo è molto attesa (e dimostra che la caccia al gadget è sport di tutto il mondo) e amata, vi assicuro. Per me è incomprensibile, ma ammetto che l’entusiasmo e i sorrisi delle persone sono contagiosi e alla fine ci si ritrova a partecipare a questo acchiappo anche senza aver nessun bisogno di farlo. Raccomandazione: non mettetevi contro i bimbi con le scatole, ma nemmeno contro le coppie agée, sostenute da bastoni, perché apparentemente fragili sono molto combattivi.
Il villaggio vip
Invitata da Tissot, cronometro ufficiale del Tour de France, ho avuto l’opportunità di vivere un’esperienza davvero speciale. Grazie a loro, ho potuto accedere al villaggio VIP, un’area esclusiva riservata agli ospiti e partner ufficiali dell’evento, dove si respira da vicino tutta l’atmosfera elettrizzante della corsa e ci si immerge nel cuore pulsante dell’organizzazione.
Qui sei coccolato dai main sponsor con calici di vino, dolcetti, spuntini, frutta e la possibilità di acquistare il merchandising ufficiale del Tour. Ora, essendo mattina, e per la precisione le 10, io la parte dei calici di vino l’ho saltata. Anche perché con il sole a picco in certi momenti – e in certi altri un’arietta da brividini, il bello del clima di montagna – volevo evitare di svenire. O di barcollare davanti ai ciclisti in riscaldamento facendone cadere qualcuno. Magari avrei avuto i miei 15 minuti di celebrità, ma ho preferito evitare.
Il paddock e i ciclisti
E finalmente arriviamo al momento e al luogo più ambito: i paddock. Non immaginatevi le strutture dei circuiti per MotoGp e F1, ovviamente, stiamo parlando delle strade più larghe della località opportunamente transennate, lungo le quali si parcheggiano ordinatamente (più o meno) i bus e le auto delle squadre.
Dopo qualche minuto di “belli eh i bus… ma quindi?” è cominciata la magia. Che per fortuna coinvolge anche chi resta fuori dalle transenne: i corridori hanno cominciato a scendere dai bus per salire sulle bici e cominciare il riscaldamento. E così sotto il naso, proprio a pochi centimetri mi sono ritrovata Ben Healy, Roglič, Gall, la maglia a pois Lenny Martinez (fino a ieri), Simmons (un personaggio). Ma soprattutto Van Aert – di cui non ho una foto decente perché ero lì come un pesce lesso a guardarlo. Perché è il mio preferito. Perché nonostante tutto e tutti (vabbé, Pogačar) per me lui resta il numero uno.
(Quello davanti è Van Aert)
E sì, ho visto anche Tadej, ma pure in riscaldamento è talmente veloce che ho giusto visto un esile ciclista di giallo vestito sfrecciarmi davanti (infatti la foto di apertura è del Tour de France…). Ciao Tadej, ti guardo in tv, almeno posso fare rewind.
E infine, la vera rivelazione per me è stato vedere il nostro mitico Jonathan Milan. Prima di tutto perché è un’emozione trovarsi a un metro dalla Maglia Verde, oltretutto vincitore della tappa precedente, in secondo luogo perché è un gigante. Ma letteralmente. Gli altri ciclisti sembravano tutti minuscoli. Tutti sembravamo minuscoli… Infine, la terza motivazione: Milan si è preso il tempo di salutare il pubblico, farsi fare delle foto e fare qualche autografo ai bambini che chiamavano e celebravano il suo nome. Io mi sono emozionata per loro.
Perché dico che non lo farei mai più (forse)?
Perché dura troppo poco. Improvvisamente i ciclisti si schierano, vanno verso la partenza ufficiale e tu devi trovare il posto giusto lungo le transenne per poter apprezzare quel momento di vibrazioni e entusiasmo, di grida e di “bravo!” e in un attimo tutto è finito e stai guardando i sederi dei ciclisti e la gente che sorridente sciama verso le bancarelle e le aree attrezzate per prolungare la festa.
Perciò ecco perché. Però è una bugia per farvi leggere fino in fondo questo pezzo, perché io ci tornerei eccome a vedere un’altra partenza. E un arrivo. E forse una salita, ben sapendo che il tutto dura poco, pochissimo.
Ah! La tappa Vif – Courchevel l’ha vinta Ben O’Connor (Jayco AlUla) davanti a Pogačar, che ha “spiegato” a Vingegaard e alla Visma che forse “il piano” non era stato progettato tanto bene. Ma questo la sapete già, perché come me avrete visto il Col de la Loze alla tv.