di
Chiara Maffioletti

L’attrice e la regista protagoniste de «Il rapimento di Arabella» hanno riflettuto sul valore delle relazioni e parlato del loro rapporto

VENEZIA Il bello che non ti aspetti è lavorare assieme a due film, Amanda (del 2022) e ora «Il rapimento di Arabella», e poterli presentare entrambi alla Mostra del Cinema di Venezia. Ma il bello che non ti aspetti è anche riscoprirsi affiatate, complici, affezionate. In altre parole, amiche. È quello che è successo a Benedetta Porcaroli e alla «sua» regista Carolina Cavalli, protagoniste ieri dell’incontro di Che Spettacolo! moderato da Elisabetta Soglio, intitolato proprio «Il bello che non ti aspetti». «L’unica cosa che ancora non abbiamo fatto da amiche è stato litigare, arriverà», scherza la regista, spiegando che il suo film parla proprio di questa relazione. «Il mio personaggio — conferma Porcaroli — riesce a cambiare quando stabilisce un contatto con una bambina, che, in qualche modo, rappresenta un po’ il suo tribunale interiore: la mette in contatto con quello che era e quella che è, senza pietà, come fanno i bambini». Una riflessione introspettiva che diventa necessaria «in un momento in cui siamo sempre portati ad essere la versione migliori di noi stessi. Il mio personaggio, invece, scopre che non ha senso pensare a quello che poteva o potrebbe essere, ma che è sempre meglio vivere nella realtà».

L’accettazione diventa quindi un argomento di riflessione, reso possibile dal cinema. «I film che scrive Carolina — prosegue l’attrice —, mostrano la bellezza dell’errore, dell’essere umani. La mia protagonista scoprirà la bellezza di essere fallibili. oggi che invece si cerca solo quello che è patinato. Nel film diciamo che bello è quello che non ti aspetteresti, che ci coglie alla sprovvista». Un altro tema de Il rapimento di Arabella è quello della solitudine: «Sentirsi accettati non è semplice — riprende Porcaroli —. La società in cui sono cresciuta io era costruita sull’approvazione che arrivava dall’esterno, ma se internamente non riesci a costruire una tua spina dorsale, diventa tutto una fatica». A proposito di fatiche, quando si interpretano personaggi così tridimensionali non è semplice abbandonarli. «Il coinvolgimento non è sempre lo stesso, ma nei ruoli che mi propone Carolina è facile immedesimarsi. Del resto, ognuno di noi può essere molte cose: se uno mi incontra nella giornata sbagliata, direbbe che sono la persona più antipatica del mondo. Il dato di fatto è che quando un personaggio mi piace particolarmente poi torno a casa e mi dicono: smettila di parlare così, non sei più sul set». Anche questa sintonia è un sintomo di amicizia, definita da Porcaroli «uno dei rapporti più importanti: quando finisce una storia d’amore non resta più nulla, invece amici lo si è per sempre»



















































Le fa eco Cavalli: «L’amicizia può racchiudere un sacco di umanità e di bellezza, soprattutto quella tra persone che altrimenti sarebbero sole». O molto diverse, come, in fondo, sono anche loro due. Confessa l’attrice: «Io se sto da sola per un quarto d’ora mi prende un attacco di panico, a Carolina succede se sta con qualcuno per un quarto d’ora». E se il desiderio per il futuro per la regista è proprio «provare a uscire di più dalla mia stanza», per l’attrice, «senza passare per mitomane, sarebbe lavorare con Sam Mendes». Per continuare a parlare della bellezza che non ti aspetti, sono poi saliti sul palco Alessandro Gattafoni, sportivo malato di fibrosi cistica e Antonio Guarini, presidente della Lega italiana fibrosi cistica: lunedì presenteranno qui a Venezia un corto dedicato alla storia dell’atleta.

29 agosto 2025