A Carmagnola è tempo di Foro Festival all’insegna dei concerti pop. Inaugurato ieri dai BNKR44, il palco attende questa sera Michele Bravi. Mercoledì prossimo – il 3 settembre – sarà invece protagonista Morgan.
Morgan, che live proporrà?
«Non sarà solo un concerto ma uno spettacolo variegato, contaminato con la stand-up comedy e ispirato al contesto. Mi piace lasciarmi suggestionare dai luoghi e dal pubblico per creare ogni volta un evento unico, irripetibile. Non riuscirei mai a ripetere lo stesso show ogni sera».
Il festival è legato alla locale Fiera del peperone: che tipo è Morgan a tavola?
«Onnivoro, innanzitutto. Ho la fortuna di digerire qualsiasi cosa, non sono mai stato male a causa del cibo e questo mi permette di curiosare. Mi piace sedermi a tavola e dire al cameriere “fate voi”, per esempio. Amo la pizza, la trovo semplice quanto geniale, e quando il piatto si presta trovo utile mangiare con le mani, coinvolgendo il tatto nella degustazione. In Italia ti guardano storto perché “non si fa”, ma è parte del mio essere anticonvenzionale».
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Sta componendo?
«Durante il primo lockdown mi ripromisi di creare una cosa al giorno, e così sto facendo. Ho da parte 1. 800 pezzi, alcune sono canzoni, altre sonate per pianoforte, oppure sinfonie o ancora composizioni elettroniche. Ultimamente lavoro con passione sulle strutture poliritmiche. Sono estremamente prolifico, il problema è che nessuno lo sa perché non esce niente sotto il profilo discografico».
Come se lo spiega?
«Con il fatto che non sono allineato all’establishment musicale, culturale e politico italiano. Sono troppo libero, ma il problema è che sono anche molto popolare, così si è corsi a screditarmi. Purtroppo una parte del pubblico è cascata nel tranello, si è scatenata attorno a me un’attenzione morbosa e vengo definito “indifendibile”. Mi domando da cosa, oltretutto. Però se tu dici che sul tavolo c’è una mela, ma non è vero, comunque nella mente del tuo interlocutore si materializza una mela. Così si è arrivati a non parlare di me né del fatto che non si parli di me. È un loop, e dai loop non si esce».
Ci regala qualche suggestione legata a Torino?
«Preferisco andare dritto a Carmagnola. Quel che ho appena detto circa il mio caso ricorda la vicenda del Conte di Carmagnola della tragedia manzoniana. Un grande condottiero, adulato da coloro che in seguito lo screditeranno e manderanno a morte. Mi ci riconosco, con la differenza che io sono ancora vivo e sul palco mi trasformerò nel Conte».
La precede di qualche sera Michele Bravi, tra i tanti che lei portò al successo a X Factor: siete rimasti in contatto?
«Michele è un bravissimo ragazzo, con lui lavorai benissimo e in seguito è ulteriormente cresciuto anche attraverso esperienze dolorose. Ho percepito la sua piena maturazione a Sanremo, quando ha interpretato “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” di Battisti. Ci siamo risentiti, abbiamo ristabilito il contatto».
A proposito di X Factor, di cui è recordman mondiale di artisti portati alla vittoria, i talent sono ancora attuali o devono ripensarsi?
«Un talent è un format, un telaio di per sé neutro. Conta quel che ci metti dentro, come per la forma canzone o per la forma romanzo. Da parte mia ho sempre cercato di metterci la buona musica assoluta, libera da ragionamenti di brand o di target. Per questo mi battei a favore dell’introduzione del brano inedito, la svolta che permise a chi usciva da lì di costruirsi una vera carriera anziché sparire subito».