di
Paolo Mereghetti
Il film di Guillermo del Toro è abbastanza fedele a Mary Shelley, raccontando lo scienziato e la creatura. Gianfranco Rosi scava nella «devozione laica» di una città sgarrupata
Finzione contro realtà. Venezia ha messo a confronto la mega produzione Netflix di Frankenstein di Guillermo del Toro e il documentario italofrancese Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi. Abbastanza fedele al racconto di Mary Shelley, del Toro, anche sceneggiatore, rende più insensibile il padre (Charles Dance), elimina l’amico Clerval per far posto a un cinico «committente» (Christopher Waltz), fa più irraggiungibile l’amata Elizabet (Mia Goth), non più sorellastra ma fidanzata del fratello.
Ma soprattutto spezza il film in due, seguendo nella prima il racconto del barone Victor Frankenstein (Oscar Isaac) e di come arriva a creare il «mostro» (Jacob Elordi) per affidare la seconda parte proprio a lui, pronto a raccontare il destino di dolore e sofferenza a cui è condannato. In questo modo umanizza la creatura (meno mostruosa del solito, anche per non pagare all’Universal i diritti per la «maschera» di Boris Karloff) e sposta l’interesse dalla creazione alle sue conseguenze.
Senza affrontare tutti i temi coinvolti (i limiti della scienza, la possibilità per il mostro di avere una coscienza, la violenza come unica risorsa) ma costruendo un grande spettacolo che sa tener desta l’attenzione per tutti i 149 minuti.
Rosi invece si prende la libertà di «divagare» tra le zone a ovest di Napoli oppure sotto la città, nelle cantine del Museo Archeologico o nei tunnel scavati dai tombaroli: tre anni sotto le nuvole del Vesuvio per scoprire tanti possibili esempi di «devozione laica», dai vigili del fuoco diventati il terminale di chi cerca aiuto o consigli al maestro di strada che fa ripetizione ai ragazzi, da chi difende i reperti e le foto di una Napoli antica a chi riporta alla luce i resti della Villa Augustea, da chi scarica le navi granaio che vengono dall’Ucraina a chi si perde tra gli scavi di Pompei. Quasi una flânerie senza meta, dove la fotografia in bianco e nero si incarica di esaltare la bellezza selvaggia e sgarrupata di una Napoli lontana dai suoi stereotipi.
30 agosto 2025
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