A guardarlo in faccia – sapendo bene chi è e cosa fa – si fatica un po’ a immaginare che qualcuno possa spaventarsi o, addirittura, perdere il sonno, pensando a lui. Eppure nell’ultimo mese e mezzo, dal 14 luglio a oggi, Gerry Scotti – che per tanti italiani è bello (si fa per dire) e bravo, buono e simpatico – è diventato l’incubo di parecchi dirigenti Rai. La sua Ruota della fortuna su Canale 5 ha letteralmente travolto Rai1 con una media di quasi quattro milioni di telespettatori (3.920.929) e una media di share del 26.19 per cento (i picchi ci sono stati il 30 luglio con 4.665.789 spettatori e il 21 agosto con il 29.32 per cento di share). A pagarne le spese tre giorni fa è stato il Tg1 delle 20, sorpassato dal Tg5 – 20.8 contro 20.7 – che ha potuto contare su una pianificazione aziendale all’altezza, con Sarabanda di Enrico Papi prima e La ruota della fortuna dopo, mentre il tiggì della rete ammiraglia è da tempo – come sanno tutti – penalizzato, prima, da un traino come Reazione a catena di Pino Insegno e, dopo, da un programma come Techetechetè, che nel confronto con Scotti si è rivelato sempre perdente. 
Per correre ai ripari, la Rai ha costretto Stefano De Martino ad anticipare di una settimana il ritorno in video con Affari tuoi, che partirà martedì 2 settembre, subito dopo il Tg1, quindi senza essere preceduto da Cinque minuti di Bruno Vespa, che è stato fatto slittare a fine mese. Fra due giorni, quindi, parte una sfida fondamentale, soprattutto per la Rai. Se Scotti batte De Martino, altro che Houston: Asiago, via Asiago, abbiamo un problema. Un altro.

I numeri parlano chiaro: contento, sì?
«Certo. Mettono di buon umore perché sono numeri di altri tempi, a conferma del fatto che bisognava provarci: per anni si è praticamente rinunciato a produrre programmi dando per scontato che da maggio a fine settembre a casa non ci fosse nessuno. Canale 5 stavolta ha creduto che ci fossero i presupposti per far bene ed eccoci qui: sta andando benissimo».

Se l’aspettava una Rai così sprovveduta, tanto da lasciarvi tutto questo campo libero?
«Sinceramente, no. Anche se la Rai da tempo fa una politica di controprogrammazione più da tv commerciale che da servizio pubblico, adottando trucchetti e furbizie che si fanno per arrotondare i numeri e dire che le cose vanno bene. Io mi sono fatto questa idea: in Rai contavano un po’ troppo sulla forza di Techetechetè, che a me piace molto, per carità».

Ci mancherebbe altro: le permette di fare ascolti pazzeschi.
«Lo dico sul serio, non solo per quello. Comunque, secondo me in Rai certi dirigenti nelle loro riunioni devono aver detto: “La ruota della fortuna è un vecchio format, controprogrammiamo con la nostra bella tv di una volta e sarà una lotta alla pari. Non hanno calcolato il vecchio zio Gerry, però (ride, ndr)».

 
Si fanno questi errori di valutazione perché in Rai spesso i dirigenti, e non solo loro, rispondono a logiche non proprio di mercato? A pagina 176 del suo recente libro “Quella volta” racconta un incontro con Mike Bongiorno, in quest’ottica, illuminante.
«È vero. Una sera sulla sua barca, in Sardegna, anni fa gli chiesi: “Mike, ma dove hai trovato la forza per lasciare la Rai e andare con Berlusconi?”. E lui: ”Semplice. Meglio al servizio degli sponsor che dei partiti”. Sia chiaro: tutti i governi hanno sempre detto la loro in Rai, nessuno escluso. Stavolta credo che facendo il palinsesto estivo qualcuno non si aspettava una nostra mossa così repentina. Fra di loro devono essersi detti: “Sappiamo che stanno lavorando alla Ruota, ma saranno pronti a settembre…”. Invece quando Pier Silvio mi ha chiesto quando volessi partire, non ho avuto dubbi: “Le quatorze juillet!”. Il 14 luglio, Presa della Bastiglia (ride, ndr). Le date non si scelgono a caso». 

Padroneggia la lingua: ce l’ha sempre la casa a Cap Ferrat, il paradiso dei milionari sulla Costa Azzurra?
«Sì, certo. Ma non faccio il mondano, solo una vita tranquilla con familiari e amici, a casa. Vado da anni e ci sto benissimo».

Quando sente parlare di dirigenti tv che pensano di essere anche artisti come reagisce?
«A Milano si dice “Ofelè fa el to mesté”, pasticciere fa il tuo mestiere. Insomma, a ciascuno il suo».

Dopo la morte di Baudo ha citato quando Pippo nel 1987 – all’epoca a Mediaset – in un suo momento di crisi non la fece andare via dicendo che a Canale 5 avrebbe avuto un futuro: lei potrebbe mai fare come Pippo e passare in Rai o altrove?
«In passato ricordo un dirigente Rai che mi voleva a tutti i costi, poi sparì per qualche settimana e dopo un mese lo rividi che faceva il manager nell’azienda del gas… Diciamo che in certi contesti c’è un problema con gli interlocutori. Comunque non mi cercano più, ma devo anche dire che sono stati molto bravi i miei a tenermi».

Ho capito. Lei è appassionato di Porsche: Pier Silvio in questi giorni gliene ha regalata una?
«Non ancora, ma adesso al rientro spero di trovarla davanti allo studio. È sempre molto affettuoso».

Quindi, come i diamanti, Mediaset è per sempre?
«Lavorare a Mediaset è una scelta che ho fatto con il cuore, è casa mia. Mi è andata bene».

Da tutte le parti si dice che Stefano De Martino sia l’erede di questo e quello: Baudo, Arbore, etc. tutti. Non le sembra esagerato?
«Sì. Molto. Lui stesso prende le distanze da questi paragoni decisamente inappropriati. Poco fa, il 7 agosto, mi ha scritto messaggi affettuosi per il mio compleanno e per Ferragosto. Prima mi ha fatto i complimenti per la Ruota, poi ha aggiunto: “Adesso non esagerare perché poi torno… Ciao maestro”. La frase che gli dico ora è questa: “Sei bravo, bello e giovane, però non esagerare perché da questa parte c’è il vecchio zio Gerry che merita rispetto (ride, nda)”». 

Le piace quello che fa?
Ha fatto un percorso talmente suo che è difficile da paragonare ad altri: viene dalla danza e si pone in una maniera fisica come mai nessuno ha fatto prima. Chi faceva il ballerino, poi diventava al massimo coreografo, lui è riuscito a imporsi in altri contesti in maniera personale. Però eredi di Pippo non ce ne sono. E poi lui è più bello (ride, nda)».

Romano Prodi ha appena detto che l’opposizione in Italia sarebbe facile da fare se soltanto ci fosse un’opposizione: lei dal 1987 al 1992 è stato eletto alla Camera con il Psi, tornerebbe a far politica?
«Mai e poi mai». 

Piersilvio Berlusconi a luglio ha lasciato intendere che potrebbe anche scendere in campo: gli ha detto qualcosa? Suo padre all’epoca le chiese un consiglio…
«Esatto. Silvio mi disse: “Che faccio? Che ne pensi?”. E io: “Non farlo, Silvio. Mai”. Il giorno dopo fece l’annuncio alla stampa. A Pier Silvio ho detto lo stesso. Forse, almeno lui, mi ha ascoltato. Speriamo». 

Quando Rino Formica, socialista, parlò di nani e ballerine che dilagavano nel partito, ce l’aveva con lei o Sandra Milo?
«Io sono alto, grande e grosso e non sono un ballerino. Sono sicuro che non si rivolgesse a me. Che poi i nomi noti servano a portar voti, si sa, però in politica non mi viene in mente un solo nome dello spettacolo che abbia qualcosa di valido».

Prima di compiere 70 anni quale sfizio vorrebbe togliersi?
«Fare un altro viaggio in moto negli Stati Uniti. La Route 66 l’ho già fatta: la consiglio a tutti».

Il bis del viaggio del mondo in aereo che fece nel 2002 ce l’ha in programma?
«No. Andai con mio figlio; esperienza bellissima. Adesso avrei paura di sbagliarmi o non trovare le pastiglie: quella per la pressione, il colesterolo… ».

Il difetto che non è ancora riuscito a correggere qual è?
«Sono un po’ permaloso. Però mi passa subito».

Con il cane ai giardinetti, magari di Cap Ferrat, quando pensa di andare? La gente normale va in pensione a 67 anni.
«Ho un contratto ancora per due anni, poi ne parleremo. Di sicuro non farò mai un’intervista per lamentarmi che non mi fanno più lavorare. Me ne vado prima. da solo».

Quando sarà, fra cent’anni, l’epitaffio quale potrebbe essere?
«“Potevo fare di più, ma non è andata male”. Come in quell’estate del 2025 (ride, ndr)».


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