di
Guido Olimpio

Il «New York Times» ricostruisce come i servizi israeliani possono avere localizzato dirigenti e comandanti iraniani, tra cui il presidente Pezeshkian

I cellulari delle guardie del corpo: sarebbe stata questa la traccia seguita da Israele per individuare alcuni dirigenti iraniani durante il recente conflitto. E monitorando gli apparati hanno lanciato un attacco mirato su un bunker che però non sarebbe riuscito ad eliminare i bersagli, tra questi il presidente Masoud Pezeshkian, rimasto leggermente ferito. 

Alla base del racconto un’esclusiva del New York Times basata su fonti diverse, sia nella Repubblica islamica che in Israele. Il Mossad, per anni, ha raccolto una grande mole di informazione sul nemico compilando, insieme all’Idf, un elenco di quasi 400 personalità che potevano essere colpite. La lista – sempre secondo il quotidiano – è scesa a cento nominativi, compresi ufficiali e scienziati nucleari, e si ridotta alla fine a 25-30. 



















































Un archivio creato sfruttando sponde interne, seguendo passo passo le attività quotidiane, sfruttando su talpe ben inserite. A Teheran erano consapevoli dei rischi. Ci sono stati in passato numerosi omicidi mirati, sabotaggi, «incidenti» misteriosi che hanno coinvolto personalità o siti strategici. I pasdaran hanno affidato al generale Javad Assad il compito di accentuare la protezione con l’unità speciale Ansar al Mehdi. È stato così ordinato a ministri e alti ufficiali di non usare i cellulari, di essere prudenti nelle comunicazioni. Suggerimenti generici accompagnati, in qualche caso, da segnalazione specifiche. 

Uno degli scienziati eliminati, Mohammad Tehranchi, era stato avvisato sul rischio concreto ed imminente. Allarme vano, come lo è stato per la gerarchia. Il bando dei telefonini, infatti, non è stato ferreo: prima era stato imposto ai VIP e solo in secondo momento lo hanno esteso alle scorte. Tuttavia, qualcuno – è la tesi del New York Times – ha disatteso l’ordine e le guardie del corpo sono diventate il “bip” da seguire. Operazione resa possibile, prosegue il quotidiano, dalla imprudenza (presunta) degli agenti che avrebbero utilizzato in modo disinvolto, anche sui social, i loro telefoni poi hackerati dal Mossad e forse dal reparto di spionaggio elettronico dell’IDF, l’Unit 8200. 

Così il 16 giugno Israele sarebbe stato in grado di “filare” i target fino ad un complesso sotterraneo nella parte nord della capitale. Un rifugio dove si erano riuniti i membri del Consiglio di Sicurezza, ossia responsabili dell’intelligence, del potere giudiziario e della Difesa. 

Nessuno di loro si era portato il cellulare mentre sarebbe stato attivo quello delle loro “ombre” in attesa all’esterno. Un segnale sufficiente per favorire lo strike. L’aviazione israeliana ha condotto un raid sganciando almeno sei bombe che però non avrebbero portato all’uccisione degli alti ufficiali. Ben diversa la sorte di tanti comandanti, tra i più importanti del regime, e di una quindicina di ricercatori/professori impegnati nel programma atomico. Infatti, sono rimasti vittime di altri attacchi in serie, dilaniati da bombe, missili e non è escluso da razzi “sparati” via terra da cellule agli ordini del Mossad. Probabilmente membri dell’opposizione interna.

iverse le reazioni da parte della nomenklatura. C’è chi ha riconosciuto il livello grave di infiltrazione da parte israeliana, ha sottolineato le capacità tecnologiche del nemico, ha chiamato in causa traditori e ipotizzato l’uso imprudente di WhatsApp quale porta di ingresso. L’ex presidente Ahmadinejad ha affermato che un ufficiale alla testa di un reparto che doveva dare la caccia alle spie era lui stesso al servizio di Tel Aviv. Altri, invece, hanno sminuito la penetrazione. 

Una conferma, però, indiretta è giunta dalle retate di persone presentate come pedine del Mossad, dall’esecuzione di alcuni “collaboratori” – come lo scienziato Roozbeh Vadi – dell’avversario, dall’appello alla mobilitazione continua contro una minaccia poco visibile ma concreta. 

L’ultimo annuncio in queste ore con l’arresto di 8 elementi nella provincia del Khorasan. Come per altre rivelazioni – ad esempio sui cercapersone esplosivi contro Hezbollah o il sistema per assassinare l’esponente di Hamas Ismael Haniyeh – c’è sempre una patina di ambiguità. Le storie raccontate ai media non rappresentano conclusioni ufficiali, sono solo una parte della narrazione. Forse è stato deciso di svelare il metodo perché ormai è “bruciato” oppure è una parte della verità, le soffiate si intrecciano con la necessità di coprire tattiche e complicità. Iran e Israele prevedono altre battaglie, hanno bisogno di “sorprese”.

31 agosto 2025 ( modifica il 31 agosto 2025 | 10:19)