Putin oggi a Pechino alla corte di Xi minaccia gli europei: «Ricordino la Storia»
(Marco Imarisio) Nella lunghissima intervista, mancano due parole. Come succede sempre prima di un suo viaggio in Cina, Vladimir Putin ha concesso un colloquio all’agenzia Xinhua, durante il quale ha spaziato sull’attualità geopolitica e sullo stato del mondo, senza mai nominare gli Stati Uniti. Una circostanza ben strana alla luce di quanto accaduto il mese scorso tra l’Alaska e Washington, ma perfettamente comprensibile, tenuto conto del pubblico e dei referenti ai quali si stava rivolgendo il presidente russo.
Una volta reso omaggio al futuro ospite Xi Jinping, lui sì «vero leader di una grande potenza dotato di ampia visione strategica», e anche alle relazioni economiche tra Mosca e Pechino, che hanno raggiunto «un livello senza precedenti», Putin ha introdotto il concetto di «Maggioranza globale», con la quale ha indicato la massa critica di quel nuovo ordine multipolare che il Cremlino teorizza da tempo. «Noi e la Cina condividiamo ampi interessi comuni e opinioni straordinariamente simili su questioni fondamentali. Siamo uniti nella nostra visione di costruire un ordine mondiale giusto e multipolare, con particolare attenzione alle nazioni della Maggioranza globale».
Ma il presidente russo ha anche indicato il luogo dove dovrebbe cominciare il cambiamento, se non il rovesciamento, dei rapporti di forza. Facendo un astuto riferimento alla risoluzione «Sradicamento del colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni», adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 2024, Putin ha detto che Russia e Cina «sostengono la riforma dell’Onu affinché ripristini pienamente la sua autorità e rifletta le realtà moderne», auspicando una riforma del Consiglio di sicurezza, «per renderlo più democratico, includendo Stati di Asia, Africa e America Latina».
L’aquila a due teste, il simbolo della Russia, è sempre stata simmetrica solo in apparenza. Per molto tempo nella sua storia millenaria ha guardato esclusivamente a ovest. Ma dopo il crollo dell’Unione Sovietica e ben prima di Putin, si è rivolta a Oriente. Già nel 1993, il Concetto di politica estera fu il primo documento ufficiale a riconoscere l’Asia come «uno dei centri dell’economia della politica mondiale», affermando che per diventare protagonista in quell’area, alla Russia sarebbe bastato «evitare di riprodurre le esperienze europee nella regione». La nascita di un grande spazio eurasiatico è insomma una vecchia idea della Russia, alla quale Xi ha aderito da azionista di maggioranza, diventando referente non solo dei Brics ma di un’area allargata al Sudamerica e all’Africa che si oppone al cosiddetto vecchio ordine mondiale.
«Eurasia senza Occidente: la Cina mostrerà un mondo nuovo». È tutto un programma il titolo dell’editoriale dell’agenzia statale Ria Novosti che inaugura il viaggio cinese di Putin. «Sì, è una sfida. O meglio, un dissenso verso l’Occidente, e in primo luogo gli Stati Uniti, che si sono unilateralmente proclamati responsabili della sicurezza globale. Il periodo coloniale del suo dominio in Asia è finito da tempo, ma la sua influenza e i suoi interessi non sono scomparsi. Gli atlantisti continuano a voler “pascolare i popoli” dell’Asia, guidandoli, dirigendoli, sfruttando le loro contraddizioni e talvolta mettendoli apertamente l’uno contro l’altro».
Putin non ha mancato di sottolineare il solco che ormai divide le due realtà. «In Russia, non dimenticheremo mai l’eroica resistenza della Cina. Vediamo che in alcuni Stati occidentali i risultati della Seconda guerra mondiale vengono di fatto rivisitati. Il militarismo giapponese viene rianimato con il pretesto di immaginarie minacce russe o cinesi, mentre in Europa, Germania inclusa, si stanno compiendo passi verso la rimilitarizzazione del continente, con scarsa attenzione ai parallelismi storici».
Sarebbe tutto abbastanza normale. Non fosse che durante questa estate, il Cremlino ha rivolto un largo sorriso agli Usa di Donald Trump, con tanto di incontro e di foto storiche in quel di Anchorage, «che permettono a Putin di recarsi dal suo principale alleato non come vassallo, ma come leader mondiale che dialoga da pari a pari con il presidente degli Stati Uniti, il principale rivale della Cina», come sostengono molti opinionisti indipendenti russi. Anche per questo, l’assenza di ogni riferimento agli Usa sembra una omissione voluta, un argomento imbarazzante da evitare. Insieme ai presidenti di India, Iran, Turchia, e altri Stati con i quali la Casa Bianca ha rapporti problematici, Putin sarà l’ospite d’onore del vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai che si terrà da oggi al primo settembre a Tianjin. Una specie di Stati generali del cosiddetto Sud Globale, unito anche da una buona dose di antiamericanismo, ai quali seguirà la parata per l’ottantesimo anniversario della vittoria cinese nella Seconda guerra mondiale.
«Dal 2021, il commercio bilaterale con Pechino è cresciuto di circa 100 miliardi di dollari» ha affermato il presidente russo. «Manteniamo saldamente la nostra posizione di principale esportatore di petrolio e gas verso la Cina» ha aggiunto, rendendo così implicito merito al Paese che gli ha consentito di galleggiare sopra le sanzioni. «Nel 2027, prevediamo di lanciare un’altra importante rotta del gas, la cosiddetta via dell’Estremo Oriente» è stato l’ulteriore annuncio. Al tempo stesso, Putin è la persona che si è appena incontrata con il nemico dichiarato della Cina, e che progetta grandi affari artici e altrettanti accordi con gli Stati Uniti. L’aquila russa sta facendo il pendolo. Chissà cosa ne pensa davvero Xi Jinping.