di
Davide Frattini
Il documento discusso alla Casa Bianca prevede il trasferimento forzato di gran parte dei 2 milioni di abitanti, resort di lusso e un controllo Usa per 10 anni
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – La sigla è di quelle che piacciono al committente: GREAT sta per Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation. È corta e può essere stampata sui cappellini rossi con la visiera sfoggiati da Donald Trump. Dietro al gioco di parole ci sono 38 pagine — visionate dal quotidiano
Washington Post
— che delineano lo sviluppo della Striscia al termine della guerra. Il piano riprende l’idea vagheggiata dal presidente di «una Riviera di lusso» che verrebbe posta sotto amministrazione fiduciaria americana almeno per 10 anni.
Gli oltre 2 milioni di abitanti verrebbero trasferiti «temporaneamente» in altri Paesi o in zone «delimitate e sicure» dentro Gaza fino alla fine dei lavori di ricostruzione. Il documento aggiunge il termine «volontariamente» a questi spostamenti, ma i palestinesi li hanno già bollati come pulizia etnica e gran parte del mondo li considera contrari alla legalità internazionale. Agli arabi proprietari di terra verrebbe dato un «portafoglio digitale» per crearsi una nuova vita altrove o comprare un appartamento in una delle otto città «intelligenti, gestite dall’intelligenza artificiale» che verranno tirate su. Ogni palestinese che lascia la Striscia riceve 5 mila dollari, sussidi per l’affitto per 4 anni e per il cibo per 1: secondo il testo ad andarsene sarebbe il 25 per cento.
In un prospetto simile ottenuto dal giornale Financial Times queste frasi futuristiche prendono la forma di grattacieli in vetro e acciaio con una zona industriale nel nord, sul confine con Israele, dove produrre auto elettriche e altre innovazioni (porta il nome di Elon Musk). La Riviera immaginata da Trump si estenderebbe poi nel mare con alcune isole artificiali. «Ci ispiriamo alla strategia di Hausmann per la Parigi del XIX secolo» proclama il documento, quindi le città saranno attraversate da grandi viali. Nel capitolo dedicato alle abitazioni residenziali, viene pubblicata una foto che mostra un’estetica tipo Bosco verticale a Milano.
Durante la riunione di mercoledì alla Casa Bianca, il presidente si è confrontato con i suoi consiglieri. All’incontro hanno partecipato anche il genero Jared Kushner, che investe nella regione, e Tony Blair, l’ex premier britannico e già inviato del Quartetto per il Medio Oriente. «Abbiamo un piano molto dettagliato», ha commentato Steve Witkoff, emissario di Trump. L’investimento sarebbe attorno ai 100 miliardi di dollari, «finanziati da società pubbliche e private». Resta l’idea iniziale del presidente di non far sborsare «un solo dollaro» agli Stati Uniti. Il Tony Blair Institute ha voluto precisare di non aver mai «appoggiato l’idea di spostare gli abitanti». La pianificazione finanziaria è stata calcolata da un gruppo che lavorava al Boston Consulting Group, i profitti promessi sono quattro volte l’investimento. La società di consulenza ha però dichiarato che il modello è stato portato avanti all’insaputa dei manager e che chi ha partecipato allo studio è stato licenziato. Ora che è stato rivelato, tanti sembrano voler prendere le distanze dal progetto.
Dietro all’iniziativa ci sarebbero gli stessi imprenditori israeliani che hanno messo insieme la Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione americana che gestisce i quattro centri di distribuzione per il cibo nella Striscia. Il gruppo non aveva alcuna esperienza precedente in questo tipo di operazioni e, come avevano previsto le Nazioni Unite, la consegna dei pacchi con gli aiuti è stata caotica, con i palestinesi costretti a camminare per chilometri per raggiungere i punti. Troppo pochi. Percorsi della fame e della disperazione che si sono trasformati in trappole della morte: quasi 1500 persone sono state uccise dai militari non lontano dai magazzini della GHF. Benjamin Netanyahu non ha mai presentato la sua visione per il dopo guerra, salvo lasciare spazio alle spinte messianiche degli alleati coloni: propugnano l’occupazione totale, spingono per il trasferimento dei palestinesi e vogliono ricostruire gli insediamenti evacuati nel 2005. Di sicuro, il premier israeliano si oppone a un ruolo dell’Autorità palestinese cui Hamas ha tolto il controllo di Gaza con le armi nel 2007. Gli egiziani, sostenuti dai Paesi del Golfo, stanno addestrando invece 10 mila soldati da schierare alla fine del conflitto: per la maggior parte, provengono dalle forze di sicurezza del presidente Abu Mazen.
31 agosto 2025 ( modifica il 31 agosto 2025 | 22:37)
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