di
Viviana Mazza
Il politologo: «Pesa molto l’imprevedibilità americana. L’Europa si sta organizzando»
DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK New – Xi Jinping vuole trasformare l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai da piattaforma di dialogo a «meccanismo per una cooperazione pratica a tutti gli effetti». È possibile? Con quali obiettivi? E come?
«Penso che tutta una serie di Paesi prenderanno in considerazione le alternative per via della mancanza di prevedibilità degli Stati Uniti e della mancanza di leadership continuativa sulla sicurezza, il commercio e la diplomazia. E questo è un elemento, anche se ovviamente ha dei limiti strategici», dice al
Corriere
il politologo Ian Bremmer, presidente della società di consulenza sui rischi politici Eurasia Group.
Quali limiti?
«L’India e la Cina sono in realtà politicamente su posizioni opposte in molte questioni e molti Paesi della regione: lottano per l’influenza in posti come Sri Lanka e le Maldive e ovviamente in Pakistan con cui Pechino ha un forte rapporto e l’India una forte rivalità. Queste cose non cambieranno. Ma penso che l’India capisca che, dati gli improvvisi problemi commerciali con gli Usa e con un presidente con cui credevano di avere rapporti migliori e di cui adesso non si possono fidare, è saggio migliorare i rapporti con il principale e più potente avversario, la Cina. E penso che ci sia un vero sforzo per creare rapporti commerciali più stabili, migliorare la diplomazia, ridurre le tensioni sulla sicurezza, in particolare al confine. Credo che sia questa la ragione per la prolungata visita di Modi e gli ampi sforzi diplomatici di Jaishankar (ministro degli Esteri indiano ndr). Per la Russia è diverso: non è assolutamente così potente. Non si ottengono grandi vantaggi dal rafforzare i rapporti con la Russia. Per l’India, è soprattutto questione di energia a basso costo, ma la relazione strategica tra i due Paesi è in declino da anni. Non compreranno più equipaggiamenti militari dalla Russia, che ne ha pochi da offrire e di qualità bassa».
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Per Xi il summit è un modo per presentarsi come leader del nuovo ordine globale. Che cosa significa per Putin? E che peso ha l’incontro con Trump in Alaska?
«Lo aiuta a mandare all’Occidente e alla Nato il messaggio che non importa quanto puniscono i russi, perché la maggior parte dei Paesi del mondo è tuttora a proprio agio nel fare affari con loro e incontrare Putin. E quindi la Russia dalla prospettiva del G7 è un paria, un Paese guidato da un criminale di guerra, ma al resto del mondo non importa granché. Ovviamente il fatto che anche Trump è stato pronto a incontrare Putin direttamente ha molto preoccupato gli europei, ma gli europei stanno facendo molto di più e questo significa che hanno avuto informazioni migliori in anticipo sull’incontro con Putin e un miglior coordinamento anche a posteriori. Quindi forse questo è meno un problema sul fronte ucraino ma globalmente l’abilità degli Stati Uniti e degli europei di isolare la Russia è fallita in partenza. Ed è questo, credo, il significato dell’attuale incontro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai: Putin è un membro in piena regola, è benvenuto là quanto lo è la Francia nella Nato. È un messaggio forte. Ora quest’organizzazione non è neanche lontanamente così potente dal punto di vista strategico, non ha un accordo di sicurezza collettiva, perciò non funziona come un’alleanza multilaterale, ma sta diventando più coordinata dal punto di vista diplomatico e credo che sia un dato importante».
E questo che cosa ci dice sul ruolo geopolitico dell’America? Si può parlare di marginalizzazione o è esagerato? La rivista «Foreign Policy» nota che Modi ha rifiutato di recente di prendere le telefonate di Trump.
«È molto difficile parlare di marginalizzazione del Paese più potente del mondo. Se è marginalizzazione, si tratta di auto-marginalizzazione. Ma non è isolazionismo, come dico da anni, è unilateralismo. È l’idea che l’America prende le decisioni dato che i suoi alleati sono molto meno potenti di 10-20 anni fa. L’America non vuole essere leader forte di un gruppo multilaterale, questa è la cosa sorprendente. Negli ultimi trent’anni, dal punto di vista geopolitico, gli alleati si sono indeboliti: la loro produttività e crescita si sono ridotte, sono meno efficienti, la demografia non è buona, non spendono per la Difesa. E adesso finalmente stanno iniziando. Il piano per la competitività di Mario Draghi è stato abbracciato intelligentemente da Von der Leyen e dai leader europei, anche se un po’ troppo tardi. Ora se fossi il presidente degli Stati Uniti, direi che come americani vogliamo alleati forti, più produttivi, competitivi. Ma non è la prospettiva di Trump. La sua prospettiva è che questi alleati si sono approfittati di noi e quindi vogliamo schiacciarli. Nel breve periodo ciò porterà molti Paesi a inginocchiarsi a Trump, ma nel lungo periodo sarà probabilmente negativo per gli Stati Uniti».
1 settembre 2025 ( modifica il 1 settembre 2025 | 08:53)
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