Tradotto alla lettera, il titolo originale di questo film, Caught Stealing, sarebbe “beccato a rubare”. E non ha solo a che fare con il casino in cui si ritrova il protagonista Hank Thompson per colpa di un suo amico, ma anche con le regole del baseball, di cui Thompson era un grande giocatore in passato. Nel baseball il “caught stealing” è infatti quando un corridore viene beccato a rubare una base prima che la palla venga battuta, o almeno questo è quel poco che ho capito, vi prego di non chiedermi più di così, non sono mica Elio.
In molti pensano di aver beccato Thompson a rubare e quindi vogliono fargli il culo perché non se la bevono che lui si è ritrovato così, per caso, in quella – occhio che adesso lo dico, eh – scomoda circostanza. Hey, ma questo è un titolo perfetto per il mercato italiano! Molto meglio che chiamare il film, che ne so, Con le mani nella marmellata, che ci scommetto sarà stato per giorni in cima alla lista dei titoli papali uditi nelle oscure stanze del Sacro Ordine dei Distributori Italiani. Ma la cosa divertente, almeno per me, è che il titolo italiano a differenza dell’originale crea involontariamente una correlazione non solo con Thompson, ma anche con qualcun altro. Qualcuno di cui Thompson non può neanche immaginare l’esistenza.
Perché qui non è solo lui a ritrovarsi in una scomoda circostanza.
Ma pure Darren Aronofsky.
«You talkin’ to me?»
Aronofsky l’autore. Aronofsky il visionario. Aronofsky il creatore del Premio “Albero della vita” al peggior metaforone che noi de I 400 Calci assegniamo tutti gli anni durante i Premi Sylvester.
Uno dei registi più tronfi e ambiziosi con cui avere a che fare, ma anche uno difficile da ignorare per i suoi virtuosismi che spesso guardano al cinema che ci piace.
Aronofsky che nonostante tutto ci ha dato The Wrestler e Il cigno nero.
Aronofsky che mortacci sua ci ha dato The Whale e, appunto, The Fountain.
E ora a quell’Aronofsky lì, che non sappiamo mai se scrivergli quando è nelle vicinanze per andare a berne un paio o mettere il silenzioso dovesse farsi vivo lui, gli viene detto che i suoi ultimi progetti non sono andati benissimo per cui ora, caro Darren, ti ciucci un film su commissione e lo giri senza rompere tanto le palle con le tue cazzate autoriali. E il Darren accetta.
Pare fossero tutti pronti a intervenire se il Darren avesse manifestato cenni di autorialità
Accetta la scomoda circostanza in cui uno come lui non può mettere mano alla sceneggiatura, di doversi piegare alle esigenze di un genere che non gli è mai interessato e soprattutto di raccontare una storia che ha tutto di convenzionale. Di fare, in poche parole, il mestierante.
Non starò certo qui a dirvi che ci troviamo di fronte ad una figata imperdibile, Caught Stealing è esattamente quello che vi aspettate dal trailer: una storia di grossi equivoci, di gangster, di personaggi grotteschi e colpi di scena dove tutto funziona bene ma non c’è niente per cui strapparsi le vesti e correre per strada nudi urlando. Troverete trope narrativi usurati, momenti di scadente imitazione di cult movie molto più riusciti e una scrittura non particolarmente brillante.
Nel 2004 Caught Stealing era un libro scritto da Charlie Huston (da noi pubblicato come A tuo rischio e pericolo) che io non ho letto ma Stephen King sì e gli piacque. Che non vuol dire niente visto che a King come sappiamo piace parecchia merda, ma mi piaceva ricordare questa cosa. 20 anni dopo Huston stesso firma questo adattamento e non so dirvi se nel frattempo qualcosa si è perso per strada ma il risultato è una dark comedy mezza pulp fuori tempo massimo, che scalcia disperatamente per tornare negli anni Novanta.
Tutto è abbastanza banalotto, poco ispirato e per nulla memorabile visto da una certa prospettiva.
Ma c’è una cosa che fa la differenza ed è proprio Darren Aronofsky.
A sinistra: la differenza
Aronofsky sembra aver detto a Matthew Libatique: «Senti, dato che siamo nella New York del 1998 ed è chiaro a tutti a quale immaginario si è ispirato Huston, facciamo che l’atmosfera, il tono, i colori, tutto deve riportarci lì, nei film rozzi, violenti ed eccessivi che hanno reso indimenticabile il cinema di quegli anni. Dai Matt, telefona agli Idles che secondo me su una roba così ci stanno benissimo».
E alla fine se The Whale sembrava una puntata di Vite al limite fatta bene, Una scomoda circostanza sembra un film di Guy Ritchie fatto bene.
Parlo del Guy Ritchie recente ovviamente, non quello degli inizi. Quello era già il Guy Ritchie fatto bene.
Aronofsky gira con la sicurezza e la strafottenza di uno che sembra avere ancora tutto da dimostrare, alza il volume a palla durante le scene d’azione e mantiene per tutto il tempo un ritmo indiavolato e perfetto, senza sbavature, da manuale, neanche un frame fuori posto. Tira dritto come un treno nel raccontare di come il povero Hank Thompson, un pezzo di pane pieno di traumi, viene inevitabilmente risucchiato in un vortice di eventi molto più grandi di lui. Dove i punti di sutura vengono fatti saltare a scopo tortura (segmento squisitamente cattivo e ben inquadrato), le botte non mancano mai e soprattutto si muore con una rapidità sconcertante, ma altrettanto velocemente si passa subito ad altro.
Vi è più di un momento in cui si vede benissimo che Aronofsky potrebbe facilmente abbandonarsi ai suoi momenti da melodramma sfrontato ma non è questo il giorno! Oggi si tira dritto perché devi far vedere a tutti come si gira un inseguimento in auto e per la miseria raga se questo film esplode in certe scene per come quest’uomo lavora bene di stacchi di montaggio, sonoro, colonna sonora e composizione delle inquadrature. Ma daccene di più di roba così, Darren, che sei un fuoriclasse!
Give ’em the boot, the roots, the radicals
Non era per niente facile tirare fuori una confezione così egregia da una tale sceneggiatura, ma il grande talento di Aronofsky questa volta passa soprattutto da qui e dalla capacità infine di far recitare un cast di fazze perfette che senza di lui sarebbero state sprecate.
Austin Butler e Zoë Kravitz sono adorabili anche se non abbiamo abbastanza tempo per affezionarci davvero a loro, e la colpa è sempre di questo film che pur di assomigliare ai suoi miti degli anni Novanta ne emula anche certi meccanismi narrativi che speravamo ormai morti e sepolti. Come usare il personaggio femminile principale non come un’autentica co-protagonista ma come personaggio accessorio, utile unicamente a smuovere qualcosa nel protagonista maschile e permettergli una trasformazione.
Matt Smith punkettone in stile Rancid è simpatico, strappa qualche risata e porta sempre tutto dalle parti di S.L.C. Punk!, mentre la coppia di gangster ebrei Liev Schreiber e Vincent D’Onofrio sembra uscita direttamente dalla testa dei primi Coen. I due mafiosi russi psicopatici, il vicino di casa rompicoglioni e il gestore del pub completano l’affresco. Ah sì, c’è anche Regina King ma sinceramente il suo è il personaggio meno riuscito.
Caught Stealing non sarà il film dell’anno ma è la dimostrazione che anche nel ruolo di mestierante Darren Aronofsky tira fuori una bravura e una precisione che se dovessi trovare un paragone sportivo – in modo da ricollegarmi all’intro – direi che è un po’ come quando Michael Jordan passò dal basket al baseball e, citando Elio, «arrivò solo alle soglie della major league».
Era impossibile per Aronofsky portare Caught Stealing in major league. Però cazzo, che partita.
SIGLA DI CHIUSURA!
Striscione esibito dai tifosi dei San Francisco Giants:
«La disoccupazione ci ha dato un bel mestierante»
Terrence Maverick, i400calci.com
PS: Se per caso non apprezzate Austin Butler, tenete presente che molti anni fa, nel 2013, quando si parlò per la prima volta di un adattamento, per il ruolo di Thompson si era pensato a quel cagnolone di Patrick Wilson. Direi che ci è andata benissimo.
Dove guardare Una scomoda circostanza