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Guillermo del Toro torna a Venezia con il film che ha sempre sognato di fare: “Frankenstein”, ispirato al romanzo di Mary Shelley scritto tra il 1816 e il 1817, quando lei aveva solo 19 anni. “Ci sono storie che ho sempre sognato di portare sul grande schermo, una era Pinocchio e l’altra Frankenstein”. Lo svela lo stesso Del Toro durante la conferenza stampa di presentazione del film che, a Venezia, si batte per la vittoria del Leone d’Oro. E ha gli occhi sognanti mentre lo dice, mentre racconta il dietro le quinte di quello che, per lui, sembra essere il film più personale di tutti. 

Ma com’è l’attesissimo “Frankenstein” di Guillermo Del Toro, che arriverà il prossimo 7 novembre su Netflix e in alcuni cinema selezionati? Per quanto sia immenso l’amore riversato dal regista su quest’opera e lodevole la sua scelta di realizzare un film “analogico” dove l’uso della computer grafica è ridotto al minimo – una novità per i tempi di oggi – questo lungometraggio, purtroppo, non è un capolavoro, tantomeno il miglior film di Del Toro.

Cosa funziona e cosa no nel “Frankenstein” di Guillermo del Toro

Si dice che quando si ama troppo qualcosa si finisce per essere accecati dall’amore perdendo quella “razionalità” che nella vita, così come nell’arte, è necessaria, molto più di quanto si possa immaginare. Ed è proprio quello che accade a Del Toro che, nel suo Frankenstein, sembra essersi donato di più al suo personaggio di finzione preferito che al pubblico. E questo, purtroppo, guardando il film, arriva. 

Così, il risultato del suo ultimo lavoro cinematografico è un racconto che, se pur gradevole, giusto, fedele alla storia originale, non riesce a travolgere, non fa emozionare, non è abbastanza potente da lasciare il segno. 

Per quanto le interpretazioni degli attori principali siano convincenti, a partire da Oscar Isaac che veste i panni di Victor Frankenstein fino a Jacob Elordi che si trasforma completamente nella creatura “mostruosa” della storia, il film nel complesso, non spicca, soprattutto per una sceneggiatura fin troppo lineare e prevedibile e dialoghi poco ricercati.

E non aiuta l’eccessiva lunghezza del film – sono ben 149 i minuti totali- né la scelta di Del Toro di dividere il racconto in due parti dove la stessa storia è raccontata da due prospettive diverse, quella del creatore e quella della creatura. Scelta che, indubbiamente, appesantisce la visione. 

Ci si aspettava tanto da questo adattamento di Frankenstein di Guillermo Del Toro – che si aggiunge ai quasi quaranta film tratti del romanzo di Mary Shelley – forse ci si aspettava anche troppo e come accade spesso in questi casi, la delusione è quasi inevitabile.

Non è tutto da buttare nel Frankestein di Del Toro, però, anche perché solo il fatto che un regista del suo calibro abbia messo tutta la sua anima nella realizzazione di questo film, è un buon motivo per vederlo e apprezzarlo, almeno negli intenti.  

Voto: 6,3

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