di
Gaia Piccardi

Jannik, atteso agli ottavi degli Us Open da Bublik, quando vede mancare il gioco si affida alla sua incredibile resistenza psichica

DALLA NOSTRA INVIATA
NEW YORK – Io non difendo, inseguo. Azione, non preservazione. La scelta delle parole, nella transizione dall’idea al risultato, è l’inizio del tutto. Pensiero creativo, lo chiama la filosofia new age. Jannik Sinner non dà definizioni al suo modo di vedere il tennis e la vita. Semplicemente, è così: lui non conserva il titolo dell’Open Usa conquistato l’anno scorso; lui è a caccia del secondo Major newyorkese. È diverso.

Il rifiuto del passato, il focus sul futuro. C’è un aneddoto che spiega bene la congenita proiezione in avanti del ragazzo che sta rivoluzionando il tennis mondiale. Lo ha raccontato l’olandese David Pel al Corriere: «Nel 2019 ho affrontato un Sinner diciassettenne in doppio a Ortisei. Ho vinto. L’ho rivisto a Wimbledon a luglio. Chiedendogli una foto, gli ho detto: Jannik ti ricordi che ti ho battuto? No, io mi ricordo soltanto le cose belle, mi ha risposto».



















































Sinner il mentalista ieri si è allenato indoor, sui campi coperti di Flushing, lontano da occhi indiscreti. Una volta non era sua abitudine, oggi anche la pretattica ha il suo peso nella costruzione delle imprese vincenti. A non essere mai cambiata, è la forza della mente di Sinner. Era in svantaggio nei precedenti sia con Popyrin che con Shapovalov: ha annullato il distacco. Al mancino canadese ha cancellato la palla del 4-0 nel terzo set, poi si è preso nove game di fila: «Stava servendo bene e aveva colpi da fondo puliti — ha spiegato —. Il punteggio era contro di me, ma sono rimasto lì mentalmente». Ecco, se c’è un avverbio che potrebbe avere inventato Sinner è mentalmente. Quando il tennis non fluisce spontaneo, come nella prima settimana dell’Us Open, supplisce la testa. «Mi alleno anche per superare situazioni complicate e per trovare soluzioni. Il tennis è questo».

Il tennis è Sinner contro Bublik oggi sul centrale (all’una di notte): per la terza volta in stagione la partita a scacchi con il kazako che l’azzurro ha battuto al Roland Garros e da cui ha perso sull’erba di Halle (con il senno di poi non un grande segnale d’allarme, visto come è finita a Wimbledon). Bublik ha eliminato il padrone di casa Tommy Paul mentre Auger-Aliassime regalava l’ennesima delusione a Zverev. È la consacrazione del fallimento della Next Gen, Medvedev in rottura prolungata psicologica e Zverev mandato a pezzi dalla lezione di Melbourne a gennaio: nel tentativo di tenere il passo dei due predestinati, Sinner e Alcaraz, fioccano ritiri (Shelton), infortuni, sedute dall’analista. Che il tennis sia uno sport mentale non lo scopre Jannik: lo sancisce con la perentorietà di una sentenza della Cassazione. «Ma io non sono una macchina — ci ricorda —, posso sbagliare e perdere però alle partite ci voglio arrivare preparato». 

Rispetto a Shapovalov, Bublik alza l’asticella: 22 ace (54 in totale fino a qui) e 61% di prime con Paul, nemmeno una palla break concessa in tre turni (significa 54 turni di servizio immacolati). «Probabilmente di break ne subirò almeno un paio con Sinner ma per ora a New York sta andando molto bene» sorride il kazako che ha una striscia aperta di 11 successi e ha vinto 25 degli ultimi 28 match. «È un formidabile battitore e un giocatore imprevedibile, vedremo…» è la sintesi sinneriana. Le statistiche ci dicono che c’è poco da vedere: dall’Open Usa 2024, il migliore ha vinto il 98,6% degli incontri a livello Slam.

Sinner si nasce o si diventa? Si nasce, naturalmente, ma perché il talento si espliciti serve il lavoro appropriato. «Sulla testa, che controlla il corpo, lavora la psicologia dello sport — spiega Marcella Marcone, psicanalista —. I grandi campioni lo sanno: ciò che sfugge al controllo riguarda il rapporto con quella parte profonda che pochi conoscono. Il volere cosciente spesso non corrisponde al volere inconscio, che si crea nei primi anni di vita e che spesso porta a ripetere esperienze di frustrazione». Non è il caso di Jannik, capace di uscire dalla buca quando già ci si trova dentro. «Chi è meno segnato dalla propria infanzia, per sua storia psicobiologica o perché ha avuto condizioni esterne e interne ideali, riesce a vivere i conflitti con più distacco». Figuriamoci una palla break.

1 settembre 2025 ( modifica il 1 settembre 2025 | 10:53)