di
Federico Fubini

Nella guerra con l’Ucraina, la Russia perde circa 30 mila persone al mese da sei mesi. Una catastrofe umana di proporzioni storiche e un problema nel ripianare le perdite con nuove truppe

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Emergono indizi consistenti che l’esercito russo stia iniziando a schierare per la prima volta donne nelle sue truppe d’assalto in Ucraina, dopo averle reclutate nelle colonie penali. Del resto gli ultimi dati di bilancio di Mosca sembrano indicare che, nel secondo trimestre di quest’anno, il numero di volontari che ha accettato di firmare un contratto con l’esercito per andare a combattere sarebbe crollato del 59% rispetto allo stesso periodo del 2024: oltre 50 mila in meno. I sudditi di Vladimir Putin sembrano sempre meno attratti dalle offerte di denaro per il loro sangue. 

Intanto fra i combattenti russi di rilievo in Donbass si stanno levando voci che iniziano a lamentarsi pubblicamente della condotta della guerra da parte del Cremlino, chiedendo una mobilitazione totale di 1,5 milioni di soldati per sbloccare l’impasse. E nel fronte interno si moltiplicano le testimonianze e i video di code estenuanti alle stazioni di benzina in varie regioni della Russia, dopo che i droni di Kiev in luglio e agosto sono riusciti a colpire raffinerie che fornivano il 17% del carburante russo.



















































Tutto questo significa che la Russia sta perdendo la guerra? No, naturalmente. Vladimir Putin potrebbe ancora raggiungere i suoi obiettivi. 

Tutto questo significa però che neanche l’Ucraina sta perdendo – come a volte si sostiene – anzi può ancora umiliare il suo avversario e uscire dal conflitto libera e indipendente sull’80% del proprio territorio. Può «avere le carte», direbbe Donald Trump.

Le guerre sono terreno di propaganda da sempre, non è strano che lo sia anche questa. Ma se si azzera il volume delle voci di parte, una lezione si profila dopo tre anni e mezzo: questa non è la Prima guerra mondiale, dove due fronti affollati di uomini si combattono dalle trincee finché uno cede per esaurimento; non è neppure la Seconda guerra mondiale, quando la superiorità dei mezzi corazzati permetteva agli alleati di sfondare le linee e avanzare anche per decine di chilometri a volta. Ma questa non è più neanche la guerra ucraina del 2022. I droni e l’intelligenza artificiale hanno trasformato il conflitto in un modo che non aveva previsto nessuno, neanche i suoi protagonisti. 

Quella di oggi è una guerra che non si vince con strategie novecentesche – come pensa Putin – ma con la forza congiunta della base industriale e tecnologica. È un conflitto fra sistemi produttivi e capacità di innovazione nei nuovi combattimenti aerei. Un pilota può guidare un drone a distanza di centinaia o migliaia di chilometri, stando seduto a Kiev. Centinaia di droni combattono, uccidono e distruggono ogni giorno in prima linea, a volte guidati dall’AI, al posto degli uomini. E questa realtà cambia il modo in cui l’Europa e l’Italia dovrebbero aiutare l’Ucraina. Tutto il resto oggi conta di meno e distrae da ciò che è veramente urgente.

Sessanta perdite a chilometro

Valery Gerasimov, il capo dell’esercito russo, sostiene che Mosca negli ultimi sei mesi avrebbe conquistato 3.500 chilometri quadrati di territorio in Ucraina. Anche se fosse vero, significherebbe che dal primo marzo la sua armata avrebbe preso il controllo dello 0,58% della superficie del Paese. Ma questa potrebbe essere una stima gonfiata ad arte, per trasmettere il messaggio che l’Ucraina starebbe perdendo e per i governi europei ormai non avrebbe senso spendere risorse per aiutarla. In realtà l’Institute for the Study of War di Washington calcola che le avanzate russe fra marzo e agosto avrebbero coperto invece 2.346 chilometri quadrati fra marzo e agosto, cioè lo 0,39% del territorio ucraino.

Un’avanzata lentissima. Ma a che prezzo? Forse non lo sapremo mai precisamente perché, a riprova di come Mosca capisca il suo punto debole, fra maggio e giugno l’agenzia statistica russa ha smesso di pubblicare dati demografici: non solo le morti degli uomini, ma tutti i decessi, le nascite, i matrimoni, i divorzi. La censura è calata su tutto. È possibile però farsi un’idea ed essa mostra il prezzo immane e crescente dell’avanzata russa. Le mie stime sui dati che sto per mostrare indicano che ogni chilometro quadrato di territorio ucraino sta costando a Mosca 60 perdite umane (circa 20-30% morti, gli altri feriti) e ai ritmi attuali conquistare l’1% dell’Ucraina costerebbe alla Russia almeno 400 mila perdite (di cui 100 mila morti).

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Pressioni sulle carcerate

Ai media Meduza, Mediazona e Bbc Russia fa capo una rete clandestina in Russia – ne ho parlato altre volte – che incrocia i dati sugli annunci di morte e le notifiche sui lasciti testamentari per tracciare stime sui morti in guerra che si sono dimostrate accurate (il grafico di Meduza è qui sopra). L’ultima pubblicata tre giorni fa mostra che i caduti dal lato russo sarebbero stati 93 mila solo nel 2024, quasi il doppio dei circa 50 mila del 2023 e al ritmo di duemila-tremila morti alla settimana lo scorso inverno. Quest’anno ce ne sarebbero stati almeno altri 54 mila fino ad agosto, anche se i dati sono incompleti perché le famiglie non registrano subito i lasciti. Chi lavora a contatto con questa rete clandestina mi dice però che in tre aree ad alta densità di reclutamento – Buriazia, Transbaikalia e Irkutsk – il numero totale dei morti in guerra di questi tre anni e mezzo è balzato in avanti del 28% nei soli tre mesi e venti giorni fino al 10 luglio scorso.

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La Russia, fra morti e feriti, sta perdendo circa 30 mila persone al mese nell’ultimo semestre. Una catastrofe umana di proporzioni storiche – per lo 0,39% di Ucraina – oltre che un problema crescente nel ripianare le perdite con sempre nuove truppe. Sempre meno russi sembrano disposti a vendere i loro corpi e la vita firmando contratti per il fronte. Per questo si moltiplicano le testimonianze di pressioni costanti dei funzionari sulle colonie penali femminili per far firmare le detenute (probabilmente senza o contro la regia centrale del Cremlino) e le storie di donne cadute nei gruppi d’assalto in prima linea. E per questo le pressioni e la coercizione nelle carceri, nei tribunali, nei posti di polizia sta diventando il primo canale di reclutamento. Pavel Luzin, già consigliere per la difesa di Alexei Navalny e oggi al Center for European Policy Analysis di Washington pensa che Putin voglia ancora evitare un’altra mobilitazione su larga scala a scanso di ulteriori tensioni nella società.

Un conflitto mai visto

Naturalmente anche l’esercito ucraino soffre, anche se ha meno morti avendo passato gran parte della guerra a difendersi e non a dare l’assalto. Ho parlato con vari top manager di aziende ucraine e tutti mi dicono che sarebbe morto circa il 7% dei loro dipendenti reclutati (anche se il ritmo delle perdite sarebbe ora molto rallentato). Sulla scala dell’intero esercito questo porterebbe a circa 70-80 mila caduti ucraini, più una quota difficile da stimare di altri 70mila soldati oggi irreperibili; è possibile che molti fra questi ultimi abbiano semplicemente disertato. Di certo il sistema di mobilitazione ucraino non funziona e Kiev ha problemi a coprire con sufficiente densità umana gli oltre mille chilometri della linea del fronte.

Perché allora la Russia avanza così piano e così sanguinosamente? Phillips O’ Brien, storico militare americano e professore di studi strategici all’Università di St. Andrews (Scozia), ha l’analisi che trovo più solida. Perché è sbagliato – appunto – leggere l’Ucraina con le lenti delle due guerre mondiali. O del 2022. Al fronte questa è ormai una guerra di droni. Vince chi ne ha di più, più letali e più penetranti. E in questo l’Ucraina mantiene un vantaggio. Mi dice O’ Brien: «La Russia non riesce a realizzare grandi conquiste, anche quando si apre dei varchi con gruppi di uomini sui motorini, perché subito dopo dovrebbe seguire le avanguardie con nuove armi e mezzi. Ma se concentra mezzi e armi dietro la linea di contatto per poterlo fare, i droni ucraini li fanno saltare facilmente». Continua O’ Brien: «In questo nuovo tipo di guerra non c’è più bisogno di riempire le trincee di uomini. Tutto quel che credevamo di sapere non funziona allo stesso modo». Di qui gli errori degli analisti militari che, per esempio, da più di un anno annunciano – sempre a vuoto – la caduta “imminente” di Pokrovsk nel Donetsk.

Un nuovo Prigozhin?

Forse Pokrovsk cadrà, ma solo quando sarà stata del tutto distrutta e dopo paurose perdite delle truppe d’assalto. Dal lato russo questa impotenza inizia a generare tensione. L’ex “presidente” (filo-russo) della “repubblica” separatista del Donetsk Pavel Gubarev, da anni combattente e capo di gruppi armati con le truppe di Putin, verso metà agosto ha dato un’intervista in cui ricorda Evgeny Prigozhin prima della marcia di Wagner su Mosca del giugno 2023. Il suo messaggio è che l’ecatombe non basta a vincere, le truppe non bastano perché i soldati a contratto non coprono più le perdite e il Cremlino deve mobilitare a forza un milione e mezzo di russi per piegare l’Ucraina. Ecco alcuni passaggi: «Chiunque può vedere che non funziona, è tutta una menzogna, ci stanno ingannando. Non vogliono che vinciamo, vogliono tenere al potere sempre la stessa gente (…). Dire oggi che abbiamo già vinto e dobbiamo solo insistere è solo propaganda. E non usciremo da questo conflitto». Non so se Gubarev farà la fine di Prigozhin, so però che non è il solo a mostrare i dubbi dal lato russo. Anche fra le élite dentro e attorno al Cremlino. Il New York Times racconta come in agosto Putin abbia rimosso e allontanato Dmitri Kozak, uno dei suoi più stretti e fidati collaboratori da quasi trent’anni. La sua colpa: aver consigliato al dittatore di negoziare un compromesso e chiudere il conflitto adesso.

Tutto ciò non dimostra che la Russia sia vicina al punto di rottura ma che – dice il professor O’ Brien – «neanche la Russia è uno schiacciasassi inarrestabile». La soglia a cui dovrà rallentare e poi fermarsi esiste, perché le perdite al fronte saranno state troppe, l’economia sarà troppo debole e surriscaldata, il bilancio pubblico troppo in tensione, gli attacchi alle raffinerie, alle fabbriche di armi e agli snodi ferroviari usati dalle truppe troppo frequenti. La società e le élite di Mosca troppo inquiete.

Il nostro ruolo

Ma se la lettura di O’ Brien è corretta e dunque la capacità industriale e tecnologica è ciò che può salvare l’Ucraina – e con essa la stabilità dell’intera Europa – allora cambia ciò che l’Europa stessa deve fare. Dividersi ora su qualunque scenario di garanzie di sicurezza post-belliche, come sta accadendo, non ha senso. Ha senso invece fornire agli ucraini i mezzi finanziari, semiconduttori, cavi a fibre ottiche per i droni, la base industriale e le risorse di materiali per allargare la produzione di droni stessi e missili, renderli più avanzati, fornire più difese antiaeree e mettere in grado migliaia di imprese di Kiev di continuare a innovare per resistere. Anche a costo di attingere alle riserve russe congelate da anni. E anche integrando di più l’industria ucraina della difesa con le nostre, a vantaggio di entrambe. Il governo italiano è il solo a mantenere il segreto sui suoi aiuti militari a Kiev, dunque non sappiamo quanto realmente stia contribuendo: forse qualcosa, forse ormai quasi nulla. Ma se aprisse questo nuovo capitolo, avrebbe dato comunque un suo contributo.    

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1 settembre 2025 ( modifica il 1 settembre 2025 | 15:28)