di
Ludovica Lopetti
Nella residenza «Le Nuvole» di Collegno: la prima diagnosi è di arresto cardiaco da probabile bolo alimentare. I carabinieri hanno trasmesso un esposto alla magistratura, i familiari della vittima si sono rivolti a un avvocato
È quasi mezzogiorno di domenica 31 agosto quando la madre di una donna di 40 anni, ricoverata in lungodegenza nella residenza pischiatrica «Le Nuvole» a Collegno, riceve una chiamata dal personale della struttura. La voce concitata dall’altro capo del filo le comunica che sua figlia ha avuto un malore e che i sanitari del 118 stanno cercando di rianimarla. Secondo le prime informazioni che riceve dallo staff, la paziente sarebbe soffocata nel tentativo di mangiare una brioche. La madre si reca sul posto insieme ad altri familiari, ma per la quarantenne non c’è più niente da fare: la prima diagnosi è di arresto cardiaco da probabile bolo alimentare.
Poco distante dal corpo senza vita, i parenti notano però alcune tracce di sangue. Nel frattempo anche i carabinieri della stazione di Collegno arrivano sul posto, ascoltano testimoni e soccorritori e prendono nota dello stato dei luoghi. Poi inviano un esposto in Procura, a Torino: l’obiettivo è approfondire le circostanze in cui la donna ha trovato la morte. Perché quelle tracce di sangue? Potrebbe essere caduta negli ultimi istanti di vita? Come si è procurata quella merendina, visto che il protocollo le permetteva l’accesso al cibo solo sotto l’occhio vigile degli operatori? Sono queste le domande a cui dovranno rispondere i pm, che già nelle prossime ore potrebbero disporre l’autopsia sul cadavere.
I familiari nel frattempo si sono affidati all’avvocato Cristian Scaramozzino in veste di persone offese. Vogliono vederci chiaro su una morte che presenta ancora diverse zone d’ombra. I primi riscontri sono attesi nei prossimi giorni dall’esame del medico legale. Da capire anche se la donna fosse sorvegliata e se qualcuno l’abbia vista sentirsi male. In attesa dei soccorsi, lo staff avrebbe eseguito alcune manovre rianimatorie di base proseguite poi senza successo dai medici.
«Si tratta di un caso anomalo per le modalità con cui si è realizzato – dichiara l’avvocato Scaramozzino -. La famiglia ha sempre avuto fiducia nella struttura in cui la donna era degente, ma a fronte della sua morte chiede che venga accertata la verità e che si faccia luce sull’accaduto. Certo è che la paziente non avrebbe dovuto avere accesso alla sala cucina e alle scorte alimentari. Al momento attendiamo le disposizioni del pm».
La struttura di via Sestriere è gestita dalla cooperativa Chronos e da vent’anni ospita una Residenza assistenziale flessibile (Raf) per persone disabili gravi e medio-gravi da 12 posti e un centro diurno con ulteriori 4 posti: la responsabile di area preferisce non commentare l’accaduto.
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1 settembre 2025 ( modifica il 1 settembre 2025 | 18:03)
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