Questa intervista a Emily Blunt è pubblicata sul numero 37 di Vanity Fair in edicola fino al 9 settembre 2025.

Quando qualcuno come Emily Blunt ti offre un consiglio di vita, devi accettarlo: «Vedrà, quando arriverà a 40 anni sarà una liberazione: non gliene importerà più nulla di tante cose», esordisce, condividendo una perla di saggezza della sua tata, Tina (che non dice mai parolacce). Blunt ride: «Ed è vero! Succede quasi da un giorno all’altro. Ti ritrovi a pensare: ma chi se ne importa?».

Se c’è qualcuno che ha perfezionato l’arte di fregarsene pur vivendo al massimo, quella è proprio Emily Blunt. A 42 anni, l’attrice ha costruito una carriera che spazia dalle commedie iconiche ai thriller mozzafiato grazie al suo fascino particolare, a un senso dell’umorismo tagliente e a un’invidiabile autoconsapevolezza. Fedele a sé stessa, è felicemente assente dai social media, una silenziosa dichiarazione del fatto che preferisce vivere la vita piuttosto che esporla nella vetrina di Internet.

Cappotto ricamato e abito, McQueen. Orecchini, Mikimoto High Jewellery Collection. Per gli altri: abiti, Thom Browne, Zegna e Kenneth Cole. Borsa, Michael Kors Collection.

La sera della nostra chiamata, Blunt si collega alle 22.30 esatte, ora di Hong Kong. Pura puntualità britannica. «Salve, Kaitlyn, come va?», mi saluta con un sorriso, la voce cristallina e magnetica, come ci si aspetta da una donna capace di trasformare anche una battuta pungente in oro cinematografico – pensate a Emily Charlton e alla sua tagliente critica alla gonna a rombi grigi di Andy Sachs nel Diavolo veste Prada.

Onestamente, se Blunt mi chiedesse di partecipare a un convegno sulle gonne orrende, lo farei. Quasi due decenni dopo aver ricoperto l’ambito ruolo di assistente di Miranda Priestly nell’iconico film sulla moda, Emily Charlton ha finalmente ottenuto quello più importante: il personaggio migliore che la mamma abbia mai interpretato, secondo il consiglio di amministrazione di casa Blunt, ovvero, le sue figlie. «Le mie bambine pensano che nel Diavolo veste Prada io sia la persona più cattiva del mondo, ed è vero», ride. «Mi hanno detto che le loro amiche ne parlavano tutte, e a quel punto mi sono resa conto che ormai erano abbastanza grandi per capirlo. È stato davvero bello farglielo vedere».

Emily Blunt è il tipo di attrice il cui nome evoca una carrellata di ruoli iconici: dalla tata canterina del Ritorno di Mary Poppins alla madre tenacemente resiliente di A Quiet Place – Un posto tranquillo, fino alla moglie ribelle ma devota di Oppenheimer. La sua versatilità non è solo impressionante: è il motivo per cui non sai mai cosa aspettarti da lei, ma sei sempre contento di vederla sullo schermo. Questa capacità camaleontica di interpretare personaggi molto diversi deriva dalla sua disponibilità ad abbracciare le complessità e le contraddizioni che derivano dall’essere umani, una qualità che porta in ogni ruolo con grande schiettezza: «Mi piacciono i personaggi che vivono una qualche forma di conflitto interiore, perché penso che, come esseri umani, siamo perennemente in guerra con noi stessi», spiega Blunt. «Quindi, non mi interessa molto interpretare qualcuno che ha già tutte le risposte o che appare perfettamente composto. Allo stesso modo, non mi interessano i personaggi invincibili o eroici. Penso che gli eroi migliori siano quelli che affrontano le situazioni con le unghie e con i denti». È proprio questa fascinazione per ruoli così sfumati a rendere le interpretazioni di Blunt profondamente umane, perché, in fondo, dentro ognuno di noi c’è sempre qualcosa di difficile da decifrare.

Abito e clutch, Calvin Klein Collection.

Abito con frange e stivali, Burberry.

Giel Domen

Il prossimo ottobre, Blunt farà ancora parlare di sé per la sua prova in The Smashing Machine, presentato al Festival di Venezia 2025, in cui interpreta Dawn Staples, l’ex moglie del lottatore Mark Kerr. Il film, un dramma sportivo biografico diretto da Benny Safdie, esplora non solo la natura brutale della MMA, le arti marziali miste, ma anche le emozioni crude e senza filtri che si celano dietro le quinte. Racconta che cosa significa combattere, non solo sul ring, ma anche per le persone che ami.