La decisione riguarda il caso di una donna con sclerosi multipla che a causa della completa paralisi degli arti, non può autosomministrarsi il farmaco letale.
ROMA – La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate sull’intervento di una persona terza nella somministrazione del farmaco letale.
La decisione riguarda il caso di una donna toscana, nota con il nome di fantasia “Libera”, affetta da sclerosi multipla in stadio avanzato, che si trova nelle condizioni previste dalla sentenza 242 del 2019 per poter accedere al suicidio medicalmente assistito. Tuttavia, a causa della completa paralisi degli arti, non è in grado di autosomministrarsi il farmaco letale.
Questa condizione è aggravata dall’impossibilità di reperire sul mercato un dispositivo compatibile con il suo stato, come una pompa infusionale attivabile tramite comandi vocali, oculari o orali, le uniche modalità a lei accessibili.
A fronte di tali impedimenti, la donna aveva presentato un ricorso urgente al Tribunale di Firenze, chiedendo che venisse riconosciuto il diritto di farsi somministrare il farmaco da un’altra persona, invocando il principio di autodeterminazione sul fine vita.
Il tribunale, accogliendo l’istanza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 579 del Codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente, ritenendo irragionevole la punibilità di chi attui la volontà di una persona che non può procedere autonomamente solo per impedimenti fisici e per l’assenza di dispositivi idonei.
La Corte costituzionale ha tuttavia dichiarato la questione inammissibile, ritenendo che il giudice non abbia fornito una motivazione adeguata e conclusiva sulla reale impossibilità di reperire un dispositivo per l’autosomministrazione. In particolare, si è limitato a riferire esiti di ricerche effettuate da una struttura operativa dell’azienda sanitaria locale, senza coinvolgere organismi tecnico-scientifici nazionali come l’Istituto superiore di sanità.
La sentenza precisa che, qualora esistano dispositivi adeguati reperibili in tempi compatibili con le condizioni della paziente, questa ha diritto a farne uso.
La Corte ribadisce infine che chi si trova nelle condizioni previste per l’accesso al suicidio assistito ha un diritto tutelato, fondato sulla libertà di autodeterminazione, e deve essere accompagnato dal Servizio sanitario nazionale lungo l’intero percorso, incluso il reperimento e l’utilizzo degli strumenti necessari.
Questo obbligo, sottolinea la Corte, fa parte del ruolo di garanzia del Servizio sanitario, a maggior ragione nei confronti delle persone più fragili.