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Alessandra Muglia
L’archistar: il mio Bosco verticale è lontano da questa aberrazione, da questa visione aggressiva e paranoica che dà per scontata la deportazione di massa
L’archistar Stefano Boeri si dice «abituato» a veder ripreso il suo Bosco verticale di Milano, quando si parla di futuro e modernità. Ma che campeggi nel piano postbellico per Gaza voluto dal presidente Trump lo considera «un’orrenda e violenta proiezione di un futuro inaccettabile e perverso». È il settimo edificio più instagrammato d’Italia, compare anche in pubblicità per bambini e in Dylan Dog, ricorda. «La mia idea di una nuova armonia tra natura e città radicata nella storia può essere declinata in più modi, è uno dei progetti più copiati e non abbiamo voluto mettere il copyright perché riteniamo questo possa avere un’utilità sociale, ma è incompatibile con la visione aggressiva e paranoica di questo piano che dà per scontata la deportazione degli abitanti» dice Boeri al Corriere. «È paradossale ritrovarsi a essere una fonte di ispirazione per questa aberrazione. Il mio Bosco verticale ha dimostrato di saper ospitare non solo case per ricchi ma edilizia sociale in affitto — ci sono due casi in Olanda e uno in Cina —, è l’emblema del 7° Obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Onu per realizzare città sostenibili, un’idea lontanissima da quanto prospettato in questo piano».
Nelle 38 pagine del progetto Great Trust (sta per Gaza Reconstitution Economic Acceleration and Transformation Trust) sulla ricostruzione di Gaza in 10 anni, tra grattacieli, smart city, riviere e resort — sono state pubblicate l’altro ieri dal Washington Post — campeggiano anche i loghi di diverse aziende: accanto a marchi del lusso mediorientali e di società di security americane, appaiono quelli di società internazionali come Ikea, Amazon e il gruppo alberghiero IHG, già citati a inizio luglio nell’anticipazione di questo progetto fornito dal Financial Times. Ma a distanza di due mesi nessuna delle aziende interpellate dal Corriere si dice al corrente. Ikea parla di «un’informazione nuova e sorprendente per noi»: «Inter Ikea Systems, proprietaria globale dei marchi Ikea, non è a conoscenza di questa iniziativa e può confermare che non ha approvato l’uso del logo Ikea in questo contesto» fa sapere la multinazionale svedese.
No comment da parte di Amazon web services, che dice di aver appreso del progetto dai media. Persino dalla Tesla di Elon Musk, il magnate ex alleato di Trump che nella nuova Gaza dovrebbe realizzare un’area dedicata all’industria avanzata (la Elon Musk Smart Manufacturing Zone), dicono: «Non ci risulta nulla, non abbiamo alcuna informazione in tal senso».
A smentire qualsiasi coinvolgimento, il gruppo di hotel e resort a 5 stelle Mandarin Oriental: «Non abbiamo mai autorizzato in alcun modo l’utilizzo del logo su questa presentazione, alla quale Mandarin Oriental è assolutamente estranea. Il logo utilizzato è peraltro una vecchia versione».
Il progetto ha iniziato a prendere forma lo scorso febbraio quando Trump ha postato il video sulla «Gaza Riviera» generato con l’AI. Gli autori sono Michael Eisenberg e Liran Tancman, due imprenditori israeliani coinvolti anche nella Gaza Humanitarian Foundation, riferiscono il Washington Post e il New York Times. Liran Tancman è anche nel Cogat, l’agenzia del governo israeliano che gestisce i Territori occupati. Poi in primavera è stato ingaggiato anche un team del Boston Consulting Group (Bcg) che, pro bono, ha lavorato sull’aspetto finanziario del piano. La Bcg ha fatto poi sapere che si è trattato di una consulenza non autorizzata e ha licenziato i due interessati.
2 settembre 2025 ( modifica il 2 settembre 2025 | 09:48)
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