L’edificio è un capitolo nuovo in quella pratica di repurposing che è fondamentale per capire Judd già a New York, una pratica dove il non costruire diventa ancora più forte del costruire: i loft di SoHo erano spazi produttivi abbandonati, dove gli artisti avevano cominciato ad abitare, creando una comunità così solida da far bocciare la costruzione di un’autostrada urbana che Robert Moses voleva al loro posto, e da regalarci la downtown Manhattan che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.

E nella stessa maniera vanno poi le cose nel 1990, quando Judd acquisisce il Glascock a Marfa e di fatto lo restaura, rimuovendo le superfetazioni accumulate negli anni, pulendo le facciate e aggiustando le finestre: “e ora è più simile alle origini di quanto non sia stato per trent’anni”, con una semplice, ma non secondaria, differenza. “L’unica cosa diversa”, diceva infatti Judd “è che ha un arredo inusuale all’interno. Ma è tutto dentro, e in qualche modo non si fa notare”.