A ottobre partirà la campagna di vaccinazione annuale contro l’influenza. E come ogni anno, istituzioni, operatori sanitari e pazienti dovranno orientarsi tra le molte opzioni presenti ormai sul mercato. Un nuovo studio pubblicato su Jama Network Open potrebbe fornire oggi qualche indicazione in più a riguardo: nell’ambito dei vaccini quadrilvalenti inattivati, le formulazioni ad alto dosaggio sembrerebbero infatti lievemente più efficaci di quelle a dosaggio standard nel prevenire l’insorgenza di miocarditi e pericarditi di origine virale negli anziani. Anche se, è bene sottolinearlo, la ricerca non è esente da importanti limiti.

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Risponde Luigi Vezzosi*

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Lo studio

Lo studio è un’analisi secondaria dei dati raccolti dal precedente trial Danflu-2, che aveva messo a confronto l’efficacia delle formulazioni standard e di quelle ad alto dosaggio su oltre 300mila over 65 danesi, con uno studio clinico pragmatico, una comparazione randomizzata ma non in cieco (partecipanti e ricercatori in questo caso sanno quale dei due farmaci viene somministrato) effettuata in un contesto di routine, cioè sulla popolazione generale che partecipa alla campagna vaccinale, monitorata all’interno di registri sanitari.

Lo studio clinico Danflu-2, in effetti, non aveva individuato una differenza di efficacia statisticamente significativa tra le due formulazioni, relativamente al rischio di ospedalizzazioni per influenza. Nella nuova analisi, un team afferente a diverse università e centri di ricerca danesi ha deciso di rianalizzare i dati concentrandosi su un risultato differente: il rischio di ricovero per miocardite o pericardite, una complicazione assai rara, ma potenzialmente pericolosa, di molte infezioni virali.

Così analizzati, i dati hanno rivelato una potenziale superiorità del vaccino quadrivalente inattivato ad alto dosaggio: i casi di pericardite e miocardite tra chi lo ha ricevuto sono stati 19, contro i 35 del gruppo a cui è stata somministrata la formulazione standard. Per una maggiore efficacia nel prevenire miocarditi e pericarditi associate all’influenza che raggiunge circa il 45%. Visto che entrambi i disturbi sono potenziali, per quando ovviamente estremamente rari, effetti collaterali della vaccinazione, i ricercatori hanno incluso nell’analisi anche gli eventi verificatisi nei primi 14 giorni dalla somministrazione, quando è più probabile che l’evento sia legato al vaccino e non all’infezione (perché il vaccino deve ancora fare pienamente effetto). E i risultati sono rimasti coerenti, a dimostrare che non esiste un’associazione tra dose inoculata e rischio di effetti collaterali.

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I limiti dello studio

Il vaccino ad alto dosaggio potrebbe quindi rappresentare un’opzione più efficace per la prevenzione di complicazioni cardiache dell’influenza negli over 65. Ma come dicevamo, la ricerca non è esente da limiti. Per iniziare, lo studio primario non ha dimostrato una superiorità del vaccino ad alto dosaggio nel prevenire le ospedalizzazioni. La ricerca inoltre non ha potuto dimostrare l’eziologia degli eventi cardiaci registrati nel corso del trial. E non ha potuto stabilire il vantaggio che sperimentano i vaccinati nei confronti dei non vaccinati, perché questa seconda popolazione non è stata presa in esame, e l’incidenza di pericarditi e miocarditi in seguito a infezione influenzale è estremamente bassa con, o senza, vaccini. I vaccini ad alto dosaggio, infine, hanno un costo decine di volte superiore a quello della formulazione standard, un altro particolare che merita di essere tenuto a mente quando a pagare è il nostro Servizio Sanitario Nazionale.