Due ragazzi cresciuti con la cultura del lavoro e del sacrificio, grazie al bell’esempio dei genitori: quelli di Jannik, con il rifugio in val Fiscalina da portare avanti e quelli di Lorenzo, il cui papà faceva (e fa tuttora) l’operaio in una cava di marmo
Lorenzo Topello
2 settembre 2025 (modifica alle 16:57) – MILANO
Anche i tennisti generati con l’intelligenza artificiale chiamano la mamma quando perdono. Uno Jannik Sinner imberbe e a malapena adolescente ci rimane male per una sconfitta e telefona a casa in cerca di conforto: “Mamma, ho perso”. Siglinde, alle prese con clienti, conti e ordinazioni, risponde secca: “Sì, ma è solo una partita di tennis. Qui stiamo lavorando, non abbiamo tempo per queste cose”. Avanti velocissimo: Francesco Musetti si regala qualche ora a Roma, per gli Internazionali edizione 2025 che hanno visto il figlio Lorenzo farsi strada fino alla semifinale. Il padre, ex tennista di discreto livello, sceglie però di assistere alla partita di doppio con Sonego: osserva, soffre, butta lì due battute, esulta per la vittoria. E poi saluta: “Mi aspettano 400 chilometri, torno a Carrara”. Perplessità nell’angolo di Musetti: il ragazzo di lì a un giorno gioca nel singolare contro Medvedev. Ma Francesco non fa una piega: “Le ferie le ho già prese per vederlo a Montecarlo. Domani mi aspettano nella cava”. L’umiltà di Jannik e Lorenzo ha radici antiche e robuste. Come il lavoro dei genitori.
sinner, dal rifugio al numero 1—
Allo Us Open va in scena il quarto di finale della working class. Perché per Sinner e Musetti il tennis è nato non come distrazione, ma come necessità. Jannik, a otto anni, fa conoscenza col caleidoscopio di possibilità che Madre Natura gli ha regalato: semina gli avversari sul manto bianco delle piste da sci, fa sognare i suoi primi allenatori sul verde dei campetti da calcio. Ma arde per il rosso e il blu, la terra battuta e il cemento: il secondo, negli anni, è diventato casa sua. Ma la casa, quella vera, lui la lascia a neanche 14 anni per seguire coach Piatti a Bordighera. I genitori lo affidano al tecnico, mentre mandano avanti il rifugio in Val Fiscalina. Su Jannik investono più che possono, al punto che il ragazzino non si fa distrarre fino in fondo dal sogno tennistico: “Mamma, papà, facciamo un patto e rimaniamo coi piedi per terra: se entro i 23-24 anni sono fra i primi 200 del mondo, smetto. Non potremmo permettercelo più”. Hanspeter e Siglinde ascoltano e annuiscono, ma immaginano già che il ranking del ragazzo sia destinato a una sola cifra: la più bassa (e quindi la più alta) possibile. Come lo sanno? Perché coi primi guadagni dal tennis, Jannik compra una macchina per incordarsi da solo le racchette.
la cava di lorenzo—
Francesco Musetti, invece, spesso e volentieri le partite di Lorenzo se le fa raccontare dai colleghi: “Quando sono a lavoro non posso star troppo dietro al lavoro”. Già, il papà del carrarino fa l’operaio in una cava di marmo. Ma anche lui pensa spesso al tennis: ha messo la racchetta in mano al figlio quando aveva solo quattro anni, e il suono dei lunghi pomeriggi dopo il lavoro è ripetitivo come i rimbalzi nello scantinato di nonna. Che a un certo punto suggerisce di trovare un luogo più idoneo per smash e rovesci monomani allo stato embrionale: fa la sua comparsa coach Simone Tartarini e il set cinematografico del piccolo Lorenzo si trasferisce a La Spezia. Dove lo accompagna, quasi quaranta chilometri a tratta, la famiglia: l’operaio Francesco e la moglie Sabrina, impiegata. Il lavoro non lo hanno mai lasciato, nemmeno ora che il ragazzo si è fatto grande ed è diventato padre: “La sua vita è cambiata, ma noi speriamo di averlo educato all’umiltà e alla semplicità”. Pallina e famiglia, è l’insegnamento che Lorenzo ha assorbito in pieno: il primo pensiero dopo ogni vittoria è per i genitori, la compagna Veronica e il piccolo Ludovico che fra qualche mese giocherà con un fratellino.
oziare mai—
Il lavoro ha forgiato ogni passo di Jannik e Lorenzo. L’altoatesino sa quanto sia preziosa e unica la presenza dei genitori sugli spalti: Hanspeter e la tifosissima mamma Siglinde (che sofferenza a Wimbledon, santa donna) assistono quando possono ai match del figlio, ma sanno di non poter mettere in secondo piano la gestione della casa vacanze in Trentino. Perché tra i geni di famiglia non è mai stato presente quello dell’ozio. Così come per i Musetti: la cava dove lavora papà è il luogo del cuore di tutti. Lorenzo ci ha addirittura giocato una partita con Francesco, nel 2019: fuori faceva un caldo asfissiante, meglio scambiare qualche pallina al fresco della grotta. E i colleghi di Musetti senior a fare il video e tifare.
chilometri e bellezza—
Di chilometri, Jannik e Lorenzo ne hanno macinati migliaia. Da Sesto Pusteria a Bordighera, da Carrara a La Spezia. E poi il grande salto nei professionisti e il circuito Atp che ha shakerato le vite di entrambi: titoli, imprese contro i più grandi, Slam e medaglie olimpiche. Ma tutto è partito decisamente più in basso. Da una telefonata dopo un ko, per Jannik: “I miei genitori mi hanno trasmesso una mentalità da classe operaia: lavorare quando le cose vanno bene e quando vanno male. È quello il segreto”. Dalle racchettate e i primi rovesci nello scantinato della nonna, per Lorenzo: “Quel muro l’ho consumato, è diventata la mia fissazione. Ora ricerco il bello in tutte le cose”. Tipo un derby azzurro a New York, per dire.
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