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Paolo Mereghetti
L’adattamento del romanzo «Lo straniero» di Camus trova il giusto equilibrio tra letteratura e cinema. In «A House of Dynamite» la tensione della minaccia nucleare
C’era già stato il mezzo fallimento di Visconti a dimostrare la difficoltà di adattare Lo straniero di Camus. Eppure François Ozon non si è fatto spaventare e il suo L’Étranger supera la prova, trovando un giusto equilibrio tra il flusso di pensieri della versione libresca e i significativi silenzi di quella cinematografica. «Je ne sais pas» continua a ripetere Meursault (Benjamin Voisin), non lo so, e in effetti questo trentenne nell’Algeri del 1938 si sente uno «straniero» tra gli umani. Non piange al funerale della madre, non rispetta il lutto andando a vedere una commedia al cinema e portandosi a casa un’ex collega (Rebecca Marder). E quando il vicino (Pierre Lottin) gli chiede di aiutarlo in un affare di donne si fa trascinare nella vendetta che gli amici arabi della donna vorrebbero organizzare. Finendo per ammazzarne uno. Con il romanzo Camus voleva dar voce alla fatica del proprio stare al mondo. Non so se oggi quella «estraneità» abbia ancora giustificazioni (sono altre le ragioni dei nostri mali esistenziali, mi sembra) ma Ozon, anche unico sceneggiatore, ci spinge a fermare il tempo e a guardare in faccia al senso delle nostre azioni, delle nostre inquietudini, dei nostri dubbi. La rassegnazione con cui Meursault affronta la vita e accetta la sentenza del processo può sembrare esagerata, ma sa colpire al cuore.
Kathryn Bigelow, invece, punta sulla nostra adrenalina, raccontando con A House of Dynamite (Una casa di dinamite) quello che succede se un missile nucleare viene indirizzato (non si sa bene da chi) verso il territorio degli Usa. Prima vediamo il tentativo di fermarlo con un altro missile, poi la catena di responsabilità che intreccia decisioni militari e scelte politiche, infine i dubbi del presidente degli Usa. Ogni volta la storia riprende più o meno dallo stesso punto per mostrarci nuovi protagonisti e diversi punti di vista, ma ogni volta la Bigelow (che dirige una sceneggiatura di Noah Oppenheim) sa far salire la tensione e la suspense. Al centro, ci sono le domande sui disequilibri che dopo la fine della Guerra Fredda hanno spinto ad ingigantire i propri arsenali atomici e che lo schermo nero con cui si chiude il film sa ricordare perfettamente.
2 settembre 2025 ( modifica il 2 settembre 2025 | 21:01)
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