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Valerio Cappelli, inviato a Venezia

La regista presenta «House of Dynamite», uno dei favoriti per il Leone

Sotto l’elmetto, Kathryn Bigelow. Il premio Oscar arriva con la sua solita scorta di adrenalina cinematica, dall’alto del suo metro e 82, facendoci sobbalzare in sala di primo mattino sulla prospettiva di una catastrofe nucleare. L’America è sotto attacco. «Alla fine della guerra fredda concordammo che si vive meglio con meno armi nucleari. Quell’era è finita». Le storie d’azione, dove la gente non cammina, corre, sono la sua tazza di tè. Interrompe un digiuno di otto anni con un altro thriller politico dominato (lei che non crede nel concetto di sguardi femminili o maschili), da venti di mascolinità.

Il titolo del suo undicesimo film, in gara a Venezia, House of Dynamite (dal 24 ottobre su Netfix), è ambientato «in maniera realistica» nella Stratcom, il centro che controlla l’intero arsenale nucleare americano. Il capo è Rebecca Ferguson. Un missile punta dritto su Chicago e non si riesce a intercettare. La Casa Bianca va in crisi. La regista californiana trasmette una inquietante wake up call: “Ragazzi, svegliamoci in vista della minaccia atomica”.
Idris Elba interpreta il presidente degli Stati Uniti. «Non so cosa avrebbe fatto Trump al suo posto – dice la regista – non mi sono ispirata a una figura in particolare, e non dico che il partito democratico in questa vicenda sarebbe meglio di quello repubblicano, è una responsabilità enorme, quel che è certo è che un attacco nucleare non può non avere conseguenze globali. Mi interessava umanizzare chi lavora nella stanza del potere».
La sceneggiatura è di Noah Oppenheim che si chiama quasi come l’inventore dell’atomica, Oppenheimer omaggiato nel film di Nolan, e ci ricorda che 9 paesi hanno il nucleare «e una sola persona può autorizzarne l’uso. Viviamo in un mondo instabile».



















































La provenienza del missile è ignota, comincia una corsa contro il tempo per stabilire chi ne sia responsabile e come reagire. Curioso che alla Stratcom si prendano contatti con la Russia e si pensi alla Cina e alla Corea del Nord, nessuno che faccia una telefonata agli alleati, il Canada o i paesi europei.
«Una giusta osservazione – dice Bigelow – , si chiamano i potenziali nemici, è un’America isolazionista ed è bene esserne consapevoli». Per lei era importante «umanizzare i personaggi e mantenere l’ambiguità, un modo per invitare il pubblico a pensare che cosa avrebbe fatto al posto loro. Noi tutti dobbiamo essere informati, il mio messaggio è di arrivare a una discussione sulla non proliferazioni delle armi nucleari, se vogliamo sopravvivere». Oggi Medvedev, il braccio destro di Putin, sugli appoggi agli ucraini dice agli inglesi che alla Russia basterebbe un minuto per cancellare Londra dalle mappe geografiche…«Oggi il pericolo non ha fatto che aumentare. Eppure c’è una sorta di intorpidimento collettivo, una silenziosa normalizzazione dell’impensabile».

I generali nel film all’inizio ridacchiano, la prendono sottogamba, ricordano che nel 1983 i russi scambiarono uno stormo di uccelli per un missile. Ma l’impatto s’avvicina e diventano scuri in volto. «Come possiamo chiamare tutto questo difesa quando l’inevitabile risultato è la distruzione totale? Il mio film affronta questo paradosso, esplorando la follia di un mondo che vive all’ombra costante dell’annientamento, eppure ne parla di rado. Viviamo tutti, letteralmente, sotto una casa di dinamite».

2 settembre 2025 ( modifica il 2 settembre 2025 | 20:11)