Era il 15 settembre 1986 quando Enzo Tortora fu assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Napoli e i giudici smontarono le accuse rivoltegli dai camorristi, per i quali iniziò un processo per calunnia. A quarant’anni da quella sentenza, poi confermata in Cassazione, che avrebbe messo un punto alle disavventure giudiziarie del celebre conduttore, falsamente accusato di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico da alcuni pentiti e per questo finito ingiustamente in carcere il 17 giugno 1983, il regista Marco Bellocchio ricostruisce il caso Tortora nella nuova serie Portobello, presentata alla Mostra del Cinema di Venezia e attesa il prossimo anno sulla piattaforma Hbo Max.

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Quel clamoroso errore giudiziario, che divise l’opinione pubblica tra innocentisti (pochi) e colpevolisti (molti), e che avrebbe dato la spinta propulsiva al referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati, rappresenta tuttora una macchia indelebile sulla coscienza collettiva: non solo magistrati, ma anche giornalisti, opinionisti, gente comune lo condannarono sulla base di gravi pregiudizi che con grande probabilità costarono la salute del conduttore tv, ammalatosi di un tumore polmonare e scomparso il 18 maggio 1988 senza avere compiuto 60 anni. “Resta il mistero della cecità di certi giudici oltre ogni umana immaginazione. E la perseveranza del loro errore“, spiega al Corriere della sera il regista, che per il ruolo di protagonista ha voluto con sé Fabrizio Gifuni. Bellocchio ne è convinto: Enzo Tortora è morto di ingiustizia. “Scientificamente non è stato provato ma direi di sì, quell’ingiustizia l’ha spezzato all’interno e infatti riprenderà quasi per principio Portobello proprio perché voleva che gli venisse riconosciuto dal suo pubblico la sua innocenza, ma non aveva più lo spirito, la leggerezza per sostenere questo gioco”.

Dopo l’assoluzione Silvio Berlusconi gli offrì un contratto vantaggioso per passare a Mediaset, ma Tortora rifiutò per tornare in quella Rai che lo aveva rinnegato e abbandonato nei momenti più bui, e ottenere la propria riabilitazione presso quello stesso studio dove per sei anni, ininterrottamente dal 1977, aveva condotto con successo Portobello, il felice programma ispirato al caratteristico mercatino d’antiquariato e curiosità di Londra. Il format, ideato dallo stesso Enzo Tortora e dalla sorella Anna, prevedeva che i partecipanti potessero vendere le loro invenzioni o cercare oggetti facendosi contattare dal pubblico da casa attraverso telefonate in diretta tv. Un momento particolarmente atteso era quello in cui una persona, pescata a caso tra il pubblico in studio, tentava di accaparrarsi una somma in denaro cercando di far pronunciare al pappagallo Portobello, mascotte e simbolo della trasmissione, il suo nome in trenta secondi.

enzo tortora morto di ingiustiziapinterestEdoardo Fornaciari

Enzo Tortora nel 1985.

L’intuizione si rivelò un successo tanto da tenere incollati davanti allo schermo ogni venerdì sera 28 milioni di spettatori, alla ricerca di un’innocente evasione dal pesante clima degli anni di Piombo, delle Br e degli attentati di stampo mafioso. Un Paese lacerato che ritrovava in quella piccola sfida settimanale un modo per riscoprirsi unito, giocare e divertirsi insieme, dimenticando i duri fatti di cronaca nera che dominavano i giornali. Con un colpo di spugna la leggerezza di quel mondo venne spazzata via da l’improvvisa irruzione notturna dei carabinieri nella casa milanese di Tortora, condotto via in manette tra una folla urlante. “Fu una delle pagine più buie dei media italiani”, ricorda al Corriere Gifuni, che ai tempi dell’arresto aveva appena 18 anni. “Autorevoli giornalisti scrissero frasi da far venire i brividi, c’era la gioia di avventarsi alla gola, al primo inciampo di un uomo di successo. Questa storia ha lasciato una ferita profonda nella società italiana“.

enzo tortora è morto di ingiustiziapinterestEarl Gibson III

Marco Bellocchio e il cast di Portobello a Venezia 82.

Le parole del ministro Carlo Nordio sul caso Tortora

Il tema è tuttora di bruciante attualità, come dimostra la commossa partecipazione del ministro della Giustizia Carlo Nordio alla proiezione a Venezia delle prime due puntate della serie dedicata al caso Tortora. “Una fedele ricostruzione su una vicenda molto dolorosa, che dovrebbe farci riflettere sulla carcerazione preventiva, sul fatto che molte persone entrano in carcere salvo poi essere riconosciute innocenti, che una parte della nostra popolazione carceraria è innocente, che una parte cospicua della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, che molte indagini vengono fatte frettolosamente e quando vengono riparati i danni nessuno riparerà il dolore e i costi che sono stati fatti subire”, spiega ai giornalisti il ministro, all’uscita dalla sala. “Io stesso come magistrato, operando qui a Venezia, sicuramente avrò errato, mandando in prigione delle persone che sono state dichiarate innocenti, perché l’errore giudiziario è fisiologico nella professione del pubblico ministero, però non con l’accanimento, il pregiudizio e la cattiva fede, l’ottusità, che è stata dimostrata in questo film da alcuni magistrati”.

“A seguito di anche questo caso clamoroso il Codice di procedura penale è stato cambiato ed è entrato in vigore il Codice accusatorio, che però è stato demolito, travisato e in parte anche imbastardito da tutta una serie di riforme che l’hanno snaturato”, sostiene il ministro, che ricorda come nell’agosto 2026 entrerà in vigore la cosiddetta Legge Nordio del 2024, “per cui si può essere carcerati soltanto con un’ordinanza collegiale, emessa da tre giudici, e non da un solo giudice come adesso. E se questa legge fosse già entrata in vigore, altri provvedimenti cautelari anche recenti non sarebbero avvenuti”. E aggiunge il ministro: “È difficile dire che un magistrato possa pagare pacuniariamente per i propri errori, anche perché sono tutti assicurati. Il magistrato che sbaglia o perché non conosce le carte o per ottusità preconcetta manda in prigione degli innocenti, è inutile possa pagare col portafoglio, deve pagare con la carriera. Deve cambiare mestiere”.